Cib Unicobas

sito della confederazione italiana di base CIB Unicobas, sindacato di base, libertario ed autogestionario

In questi giorni si riparla di contratto ma, tra i
‘risvolti’ dell’accordo truffa da 45 euro medi lordi mensili a fine 2018,
nessuno ricorda che Cgil, Cisl e Uil, ai tempi di Tremonti hanno accettato che
il contratto divenisse triennale da biennale che era (per la parte economica).
Silenzio massimo poi sul fatto che hanno portato la scuola nel calderone
indistinto del pubblico impiego, all’interno del quale vige la regola (DL.vo
29/1993) che gli ‘aumenti’ non possano superare l’inflazione ‘programmata’ negli
anni precedenti dalla parte datoriale (Ministro dell’economia).
Per questo, col passaggio dalla lira all’euro, avemmo
un rinnovo del 2% a fronte del dato Istat al 6% e di un aumento effettivo dei
prezzi al consumo pari al 50%. Per questo, dopo la ribellione della Scuola della
seconda metà degli anni ’80, dal 1995 abbiamo contratti sempre sotto
l’inflazione dichiarata (dato Istat) e reale (vero e ben maggiore aumento del
costo della vita) e non potremo mai neppure avvicinarci alla media retributiva
europea, ove siamo (tenendo presente anche la diversità dei costi standard)
all’ultimo posto, persino sotto a Grecia e Portogallo.
O si esce dal pubblico impiego e dal campo di vigenza
del DL.vo 29/1993, come l’Unicobas vuole da anni, o risulta persino ridicolo
parlare di stipendi.

Con il DLvo 29/93 il governo Amato, col placet di CGIL,
CISL, UIL, privatizza il rapporto di lavoro della Scuola (ma non
dell’Università, dei magistrati, dell’esercito, della sicurezza). Questo è il
primo passo essenziale dell’impiegatizzazione del corpo docente. Da allora non
esiste più il ruolo, bensì l’incarico a tempo indeterminato (tipico un tempo del
supplente annuale), o a tempo determinato per i precari (‘lasciate ogni speranza
voi che non siete entrati’).
Il ruolo era soprattutto uno scudo a garanzia
dell’autonomia della funzione docente e del rispetto del dettato costituzionale
sulla libertà di insegnamento, tipico del lavoratore ‘non subordinato’ e
professionale (valutabile solo da chi ha competenze per farlo, com’era con i
consigli di disciplina eletti previsti dai Decreti Delegati ed aboliti nel 2008
da Brunetta).
La contestuale trasformazione del preside in ‘datore
di lavoro’, ancora nel 1993, anticipa la L. 107/2015, ‘Cattiva Scuola’ di Renzi,
che chiude il cerchio facendone di fatto, come l’Unicobas paventava già
all’epoca, colui che ‘assume’ con la chiamata diretta, ‘valuta’
discrezionalmente e dismette i docenti senza controllo pubblico, crea il suo
team a propria immagine e somiglianza (anche sotto il profilo politico e
religioso) come nelle scuole private. Esattamente come avrebbero voluto la Aprea
(FI) con il suo ddl, ma anche Ichino, Pittoni (Lega), Ghizzoni (PD) e Rampelli
(AN). Questa figura è divenuta arbitro assoluto di ogni controversia
disciplinare, insieme all’Ufficio Scolastico Provinciale.
Dulcis in fundo, la vexata quaestio degli automatismi
d’anzianità. Il Dlvo 29/93 li cancella del tutto. E’ stato seguito un ‘percorso
a tempo’: il ‘congelamento’ non è che l’anticamera dell’eliminazione degli
‘scatti’, poiché dal 1993 non esiste più un capitolato di spesa ad essi
dedicato, ed il quantum viene prelevato impoverendo gli stanziamenti per il
fondo di istituto. Erano biennali, il Dlvo 29 li ha trasformati in 6 ‘gradoni’:
il primo di 3 anni, i successivi tre di 6 anni e gli ultimi due di 7. Anche
senza alcun rinnovo contrattuale, oggi avremmo una retribuzione molto più alta
se avessimo conservato quegli scatti. Gli aumenti biennali d’anzianità (che
invece hanno conservato docenti universitari, magistrati e militari di carriera)
li ha persino la Svizzera, paese ‘meritocratico’ per eccellenza, ove anzi sono
previsti solo per gli insegnanti, perché in tutto il mondo si sa bene che ad
insegnare si impara soprattutto insegnando.
Per le ragioni su addotte (ed al contrario dei Cobas,
per i quali chi opera nella scuola non va distinto dal mondo impiegatizio),
l’Unicobas vuole uno specifico contratto scuola fuori dall’area del pubblico
impiego (dove non esistono funzioni assorbenti come quella dei docenti né le
responsabilità penali che gravano su chi a che fare con minori) e l’istituzione
di un Consiglio Superiore della Docenza (con diramazioni provinciali), per il
95% eletto da docenti, ata, studenti e genitori (nel rispetto dei ruoli), a
suffragio universale, adibito a garantire, così come per la Magistratura, la
deontologia, una vera autonomia professionale e la terzietà della Scuola
pubblica, esattamente come avrebbero voluto i migliori padri costituenti.
Senza tutto ciò la privatizzazione della scuola e la
sua subordinazione alle caste della politica ed agli interessi economici di
parte, è sicura. Un contratto per tutta la scuola, docenti ed ata, dal momento
che anche un collaboratore scolastico ha compiti di vigilanza che un usciere del
ministero non ha, così come gli aiutanti tecnici hanno un ruolo di coadiuzione
educativa e gli amministrativi firmano bilanci di milioni che ovunque
(cominciando dal sistema privato) darebbero luogo a retribuzioni ben più alte.
In questi giorni di campagna referendaria, Ferdinando
Imposimato ci ha segnalato un passaggio del dibattito dell’Assemblea Costituente
proprio sul Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Padri costituenti del
calibro di Parri, Calamandrei (già membro del Consiglio della P.I.), Codignola,
Foa, Lussu, Malagugini, Bernini, nella seduta antimeridiana del 24 Luglio 1947
presieduta da Terracini, protestavano per la protervia del Ministro
democristiano Gonella, che aveva provocato le dimissioni di 23 membri su 36 per
protesta sul suo operato relativamente al punto sulla conservazione in carriera
o l’allontanamento dall’ambiente universitario dei professori nominati ‘per
chiara fama’, e disposto singolari tempistiche e meccanismi elettorali,
prevedendo l’eleggibilità di solo tre quarti dei membri. Il riordino del
Consiglio della P.I. era stato operato con decreto legislativo del Governo
‘inaudita altera parte’, senza parere del Consiglio di Stato (come invece s’era
fatto persino per il Consiglio Superiore delle miniere), con data per le
elezioni fissata d’estate al 26 Luglio, a scuole chiuse, con un solo mese di
campagna elettorale (ragion per cui se ne chiedeva almeno il rinvio).
Il DC Leone, futuro Presidente della Repubblica, ebbe
l’ardire di ribattere: “…non credo si possa sostenere che la disciplina del Consiglio
Superiore abbia riferimento con la materia costituzionale”. Ed aggiunse
testualmente (in linea con gli attuali sproloqui sulla ‘governabilità’): “…qui si agita un
problema (…) di tecnica di governo e non di carattere politico (…) bisogna
lasciare un minimo di libertà di organizzazione legislativa”. Rispetto
alle critiche di merito, Leone semplicemente ‘sorvola’: “…in un momento
delicato come questo (..) cosa significa sacrificare qualche piccolo
dettaglio?”. Del resto, aggiunse: “La democrazia, in
un Paese che ne è rimasto privo per oltre venti anni, non si restaura
d’incanto”.
Venne poi la volta di Croce, molto chiaro in merito:
“E se nelle
crisi dei nostri giorni deprecai che il Ministero dell’Istruzione fosse occupato
dai democristiani, è tra l’altro perché io temevo gli effetti della lunga brama
e della lunga astensione, e gli eccessi e le prepotenze che ne sarebbero
seguiti. Ciò purtroppo è accaduto. (..) Di ciò è prova il contegno di Gonella
verso i deliberati pareri del Consiglio Superiore dell’Istruzione, che anche
uomini insigni della sua parte hanno deplorato. (..) Per di più, egli ha
adottato un metodo, che dirò imperatorio nel sentimento e precipitoso
nell’esecuzione; e anche di questo è prova la riforma del Consiglio Superiore,
alla quale ha avuto un anno intero per pensare e che ha attuato con un decreto
urgentissimo, togliendo all’Assemblea il respiro per esaminarlo e criticarlo ed
emendarlo”.
Parri ribadì infine di “Mantenere l’invito a
sospendere l’esecuzione del provvedimento, insistendo nel sottoporre il nuovo
ordinamento all’Assemblea Costituente”, nonché a “risolvere la vertenza con
l’attuale Consiglio Superiore”. Come riportano gli annali, la mozione Parri
(Partito d’Azione) passò, a scrutinio segreto, con 218 voti a favore e 194
contro.
Questa seduta è poco nota, ma tutti sanno come andò a
finire: declinata l’influenza liberal-socialista del Partito d’Azione e di parti
del PSI – che comunque fece cadere il primo governo di centro-sinistra per non
far passare quel finanziamento pubblico delle scuole private che paradossalmente
verrà imposto dal primo ministro proveniente dall’ex PCI con la legge di parità,
la quale ha sdoganato i precari-schiavi delle scuole private a danno dei precari
storici delle pubbliche – il Consiglio ebbe ugualmente vita altrettanto
travagliata sino al 1974, quando, col DPR 416 se ne ricostruì il senso (ma
sempre con elettività parziale e titolo consultivo, momché l’eliminazione
persino di quei pochi ambiti nei quali il parere dell’organismo era vincolante),
unitamente ai Consigli Scolastici Provinciali e di Distretto.
Elemento importante l’elezione su lista unica
nazionale (provinciale per i CSP). Però anche questa riforma, disegnata da
Misasi, era destinata ad avere una vita molto breve. Grazie all’autonomia i
Consigli Scolastici Provinciali e di Distretto non esistono più dal 2000 ed il
Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione non è più stato eletto dal 1997 al
2015 (attuale Consiglio Superiore, ben poco attivo): se avessero tolto organismi
di tale importanza a qualsiasi altra categoria professionale ci sarebbe stata
un’insurrezione, mentre noi abbiamo avuto persino il ministro Berlinguer, poi
fautore della ‘Buona scuola’ renziana, che intendeva ‘valutarci’ a quiz, come
poi imposto agli studenti con il dozzinale metodo Invalsi.
Uno dei motivi dell’eliminazione delle elezioni di
categoria, nelle quali nell’88 come Movimento della Scuola raccogliemmo il 7%
dei voti, sta anche nel fatto che servivano al calcolo della rappresentanza
sindacale per una soglia al tempo fissata al 5%. Nel 1997 infatti, un governo di
‘centro-sinistra’, con tanto di appoggio di ‘Rifondazione Comunista’ e dei
‘Verdi’, fece il più gran regalo possibile a Cgil, Cisl, Uil e firmatari di
contratto: la nascita delle ‘Rsu’, la cui utile elezione nelle scuole (dov’era
nato il sindacalismo di base) e nelle singole unità produttive non è affiancata
da una lista nazionale per determinare la consistenza dei sindacati.
Da allora occorre presentare una lista in ogni scuola,
ma non si può entrare per cercare chi si candida ed i sottoscrittori perché al
sindacalismo di base sono negate le assemblee in orario di servizio, ore
sequestrate ai lavoratori e date in monopolio ai firmatari di contratto. In più,
ai sindacati nuovi serve un risultato altissimo, intorno al 9%, perché la soglia
del 5 si stabilisce facendo ‘media’ fra voti e sindacalizzati.
Le assemblee non possono tenersi neppure quando
presentiamo una lista, per far conoscere il nostro programma, ma solo dopo
l’eventuale elezione di una Rsu e solo in grazia di 20 sentenze della
magistratura che lo impongono ai sensi dello Statuto dei Lavoratori in contrasto
con la normativa contrattuale ‘bulgara’ che vorrebbe imporre solo assemblee
all’unanimità (lasciando però ai firmatari di contratto la facoltà di
contrattare anche nelle scuole dove non hanno raccolto neppure un voto, nonché
di tenere assemblee ovunque come sigla).
Non pachi, con le deleghe previste dalla L. 107,
lavorano per lo smantellamento di quel che resta dello stato giuridico degli
insegnanti nonché degli organi collegiali: Collegio Docenti (che ormai si
vorrebbe solo consultivo) e Consiglio di Istituto (da trasformare in ‘consiglio
di amministrazione’ di scuole-fondazioni guidato dal dirigente anziché da un
genitore).
È sempre con la ‘autonomia’ che nasce la figura del
‘dirigente’, ruolo aziendalista che confligge con comunità educante ed ambito
collegiale di autogoverno della scuola. Eppure, ai tempi, in quel dibattito
della Costituente, persino Leone parlava chiaramente di ‘autogoverno della
scuola’. Cosa è successo quindi al mondo dell’istruzione?
Il neoliberismo ha trovato alleati potenti nel
populismo, anche di buona parte di quella sinistra ‘pan-operaista’ che ha sempre
visto con sospetto gli insegnanti e, ben compresa l’imbecillità della gran parte
degli interlocutori, è riuscito a ‘sfondare’ anche culturalmente, teleguidando
un processo di spersonalizzazione della funzione docente e della scuola
pubblica, per distruggere la qualità della politicamente scomoda scuola di
massa. In omaggio allo slogan ‘Vogliamo menti d’opera emancipate dal sapere
critico’, coniato in uno ‘storico’ convegno europeo della Confindustria europea,
tenutosi a Venezia alla metà degli anni ’80 ‘fiancheggiato’ dai sindacati della
Confederazione Europea dei Sindacati (una sorta di Cisl internazionale, alla
quale aderisce anche la Cgil).
Dalle accuse di ‘corporativismo’ rivolte alla Scuola,
mosse dalle organizzazioni di massa, si passa senza soluzione di continuità,
all’adesione piena al neo-liberismo. In particolare con la svolta dell’Eur in
Cgil del 1978, la politica dei sacrifici e con buona pace degli operai, anche a
causa della desertificazione e delocalizzazione industriale, del ‘terzo mondo
interno’ (che in Italia comincia al tempo delle ‘due società’ e delle rivolte
giovanili, del frazionamento sociale fra ‘garantiti’ e non), in linea con la
scelta dei partiti di riferimento (vecchio PCI e centro sinistra in primis).
Il neo-liberismo globalizzato attacca persino le
professioni liberali, abbatte ogni simulacro di deontologia, elimina il
protezionismo, trasforma tutto in prestazione di mercato, saperi compresi (ai
quali si sostituiscono le ‘competenze’). La destra della globalizzazione vuole
meri esecutori, apprendisti da ‘alternanza’ scuola-lavoro, vuole una scuola
minimalista, priva di sapere critico.
Il fascismo, tradizionalista, con una visione
piramidale, idealista, neo-aristocratica e classista della scuola e dei saperi,
faceva comunque leva sul ‘classicismo’ e sul futurismo. Ma questo fornì
strumenti critici che si trasformarono in antifascismo, come narra la storia dei
registi del neorealismo italiano, tutti formatisi alle scuole di cinematografia
del regime, ma tutti poi impegnati nella resistenza o nel mondo progressista. Lo
stesso successe con il ’68.
La nuova destra non ripete l’ ‘errore’, e trasforma
l’istituzione (costituzionale) Scuola in mero ‘servizio’ (a proprio uso e
consumo), prosegue l’opera di deprofessionalizzazione, immiserimento e
mortificazione dei docenti, già ben avviata negli anni ’80 col placet dei
sindacati pan-operaisti e pan-impiegatizi. Costruisce un Liceo Scientifico senza
il latino (facendo rigirare Gentile nella tomba), inventa la ‘geostoria’, toglie
spazio alle lettere, appunto alla storia ed alla geografia, costruisce una
scuola di stampo statunitense (dove queste sono considerate materie di mero
approfondimento universitario), vuole la scuola-quiz (altro che
‘nozionismo’!!!), insegue i gusti perversi del mercato, vuole la scuola-emporio,
produce consumatori e meri esecutori.
Bene, questa è la vergogna da rottamare. Non avrebbe
senso altrimenti ‘difendere la Costituzione’, se non si ricomincia davvero da
capo, naturalmente dalla Scuola. Infatti è la scuola ad essere stata
decostituzionalizzata per prima, perché se si colpisce la scuola si ferisce
profondamente il futuro del Paese e gli si toglie identità storica e sociale,
così come se si lede la libertà sindacale si ingannano e disarmano i lavoratori
e si favorisce prepotentemente il liberismo col suo Medio Evo prossimo venturo.


Stefano d’Errico (Segretario nazionale dell’Unicobas)