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FONDO PENSIONE ESPERO. Rifiutiamo la trappola del silenzio-assenso per i neoassunti.

Hanno iniziato con l’accordo del 16 settembre 2021, quando Aran e CGIL, CISL e UIL, cogliendo lo spunto offerto da un comma inserito nella legge di bilancio per il 2018, si sono definitivamente accordati per introdurre nella Pubblica Amministrazione la formula del silenzio assenso per l’adesione al fondo Pensione Sirio Perseo per il comparto impiegatizio dello stato. Gli stessi protagonisti, con l’aggiunta della ANP, hanno firmato il 31 maggio 2022 l’ipotesi di accordo per introdurre, anche nel mondo della scuola, la stessa formula truffaldina per aderire, questa volta, al fondo pensione Espero. In analogia a quanto già avviene nel settore privato, e all’accordo sottoscritto in autunno, l’intesa prevede sia l’adesione espressa, mediante una esplicita manifestazione di volontà dell’aderente, sia l’adesione mediante silenzio-assenso (cosiddetta “adesione tacita”) e riguarda, per il momento, i destinatari di contratto a tempo indeterminato, con decorrenza economica dopo il 1° gennaio 2019. All’atto dell’assunzione, quindi, l’Amministrazione è tenuta a fornire informativa sui contenuti dell’accordo, sulla previdenza complementare in generale e sul Fondo Espero. Nei nove mesi successivi all’assunzione il lavoratore può comunicare espressamente se intende o meno aderire al Fondo, utilizzando la modulistica resa disponibile dall’Amministrazione; se non esprime alcuna volontà, scatta la trappola ed è automaticamente iscritto al Fondo, a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla scadenza dei nove mesi. Entro il 10 del mese le Amministrazioni trasmettono al Fondo i nominativi degli iscritti per effetto del silenzio-assenso; il Fondo ha trenta giorni di tempo dalla comunicazione per informare gli interessati dell’avvenuta adesione e delle modalità di recesso che l’iscritto in maniera coatta può esercitare inviando raccomandata a/r o pec, nei trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione di avvenuta adesione.

Di fronte all’ennesimo attacco alla previdenza pubblica, non possiamo esimerci da fare alcune considerazioni. In primo luogo dobbiamo notare come sia stata stravolta la legge del 1993 che ha istituito i fondi pensione: allora era necessaria una esplicita dichiarazione di volontà da parte del lavoratore per aderire al fondo pensione, oggi è sufficiente il silenzio-assenso. D’altro canto era facilmente prevedibile che si sarebbe giunti ad una soluzione simile visto che ai gestori dei Fondi di investimento ha sempre fatto gola l’enorme massa di liquidità rappresentata dal Trattamento di fine rapporto di milioni di lavoratori, mentre, nonostante la triste prospettiva pensionistica futura e nonostante il trattamento fiscale di favore predisposto dai governi per stimolare le adesioni, la previdenza complementare in Italia continua a non riscuotere grandi successi. A dispetto degli accattivanti opuscoli informativi che descrivono solo i potenziali rendimenti, tralasciando i rischi e nonostante la continua opera di propaganda svolta dai sindacalisti trasformatisi in promotori finanziari, fino ad oggi il Fondo Espero ha raccolto poco più di 100.000 aderenti, su un bacino potenziale di ben oltre 1 milione di lavoratori. La verità è che i lavoratori non si fidano di consegnare il loro TFR alla speculazione; sanno che mettere le risorse di una vita lavorativa nei fondi significa perderne il controllo e alimentare quel sistema globalizzato nel quale banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio (con la complicità dei sindacati cogestori dei fondi di categoria) guadagneranno alla grande, inseguendo le borse a livello internazionale, ricercando il massimo profitto a breve termine, lasciando soltanto ai lavoratori l’onere non indifferente del rischio. I lavoratori sanno bene che la soluzione non risiede nella previdenza complementare, da sempre esposta alle turbolenze della finanza internazionale, che non potrà mai garantire il recupero totale della quota persa dalle pensioni con l’introduzione del sistema contributivo.

Quello che serve, invece, è una riforma strutturale che difenda e rilanci il sistema pensionistico pubblico fondato sul principio solidaristico intergenerazionale, contro i tentativi di privatizzazione dello stato sociale, così da restituire ai lavoratori la sicurezza di una vecchiaia dignitosa dopo una vita di lavoro. Una considerazione a parte va fatta nei confronti dei sindacati firmatari di questo scellerato accordo. Sono gli stessi che non proclamano neanche uno sciopero contro la guerra, sono gli stessi che indicono lo sciopero contro il D.L. 36/2022 il 30 maggio a scuole ormai praticamente chiuse, ben consapevoli di essere pronti ad accordarsi con la controparte al momento opportuno. Sono gli stessi che dopo aver svenduto la previdenza pubblica in cambio della creazione di fondi pensione di categoria cogestiti con governo e padronato, si sono trasformati in zelanti propagandisti della pensione integrativa ed ora, non soddisfatti dei risultati raggiunti, vogliono imporre, attraverso lo strumento del silenzio/assenso, la confisca del TFR agli assunti post 2019. Sono gli stessi che dal 1993, dall’inizio della “concertazione”, sono sempre solerti e diligenti nel chiedere sacrifici ai lavoratori e poi quando si tratta di rinnovare i contratti nazionali fanno passare oltre tre anni e si accordano per un aumento medio netto di 50 €, con un’inflazione che si è attestata ormai al 7%, (come nel caso del rinnovo del contratto nazionale scuola).

Noi del sindacato Unicobas continueremo a denunciare come “imbroglio del secolo” l’utilizzo della liquidazione dei lavoratori per foraggiare i fondi pensione e non appena l’accordo diventerà operativo inviteremo i lavoratori ad inviare il modulo di diffida (che predisporremo al più presto), con cui potranno esprimere la loro volontà di non adesione, immediatamente dopo aver ricevuto la prevista informativa dall’Amministrazione.

Stefano Lonzar (p. l’Esecutivo Nazionale dell’Unicobas)