Proviamo a fare una sintesi riepilogativa sulla questione Invalsi (e sul suo contesto).
Si tratta di prove oggettive standardizzate (quiz, domande a risposta chiusa) estranee alla pratica didattica e valutativa della scuola italiana, tanto più inadeguate ove si propongano come strumenti di valutazione sommativa (esami di terza media, fine biennio scuola superiore).
Pretendono di rilevare gli apprendimenti dei nostri studenti al termine di un triennio di tagli draconiani che hanno falcidiato materie, curricoli, ordini di studi, attività di sostegno e potenziamento.
Se analizzate nello specifico, sono opinabili nei contenuti e nella forma, in alcuni casi contestabili, globalmente poco significative.
Comportano spese che in questo momento si configurano, queste sì, come uno spreco assoluto.
Comportano inutile lavoro aggiuntivo per i lavoratori della scuola, già abbondamente massacrati sul piano professionale, economico, giuridico, sociale.
Sono elaborate da un istituto che non è indipendente rispetto al MIUR e che non è in grado di svolgere il suo compito (vedi allegati).
Cos’altro c’è da dire?
Possiamo continuare a subire qualunque imposizione da una ministra e da un governo che, mentre accusano i docenti (con la complicità dei media!) di non voler essere valutati, stanno in realtà distruggendo la scuola statale, smembrandola giorno dopo giorno, un pezzo alla volta, nell’indifferenza generale?
L’ho già scritto e lo ripeto: un silenzio assordante avvolge tanti insegnanti che non si espongono, tanti genitori che non sanno e non vogliono sapere, i sindacati più rappresentativi che non prendono iniziative, tanti intellettuali trincerati nelle loro dotte e inutili disquisizioni, lontani dalla realtà.
I leader dell’opposizione spendono solo occasionali parole sulla scuola ma non l’hanno ancora messa realmente al centro del loro progetto politico. Ogni tanto si affacciano su una piazza, da un tetto, a un sit-in o a un convegno per esprimere un conforto verbale, un tiepido impegno, scampoli di promesse a cui non possono più credere neanche gli ostinati, volenterosi professionisti della speranza.
Chi ha messo invece la scuola al centro della sua agenda politica è stato, tenacemente, il Governo.
Non è vero che non ha fatto niente in questi due anni: bisognerebbe dirlo ai tanti giornalisti e ai tanti cittadini italiani che vanno ripetendo questa formula come un mantra vagamente consolatorio.
Con l’art. 64 della legge 133 dell’agosto del 2008 e con il relativo piano programmatico attuativo varato da Tremonti, la scuola statale italiana è stata condannata a morte, complici i provvedimenti Gelmini, che hanno consentito lo smembramento strutturale dell’intero sistema, pezzo per pezzo.
Ancora un ultimo anno, con il taglio dei 4 miliardi e 561 milioni di euro previsto, poi non resteranno più neppure le disiecta membra. Perchè un tale accanimento?
All’indomani della sua ultima vittoria elettorale, Berlusconi indicava, in una puntata di Ballarò, i luoghi in cui si nascondevano i suoi nemici comunisti e dove li avrebbe, conseguentemente, stanati: nelle scuole, nella magistratura, tra i giornalisti, nelle televisioni.
Proprio in quest’ordine. Specificando ulteriormente: tra gli insegnanti medi.
L’urgenza personale di abbattere in primis quel nemico (del resto anche il più debole, non essendo una casta, non essendo un potere forte) ha intercettato il generale risentimento verso la pubblica amministrazione, ben rappresentato dal ministro Brunetta, la cui acredine nei confronti dei lavoratori si tinge spesso di sfumature patologiche (l’ultima esternazione contro i precari è significativa).
La necessità di rispettare il patto di stabilità imposto dall’Europa ha infine consentito a Tremonti la quadratura del cerchio: mantenere i conti in ordine, ovvero tagliare gli sprechi dove non ce n’erano, licenziare il personale dove la catena di montaggio non si fermava, contenere la spesa pubblica con tagli pesantissimi nell’unico settore dove nessuno avrebbe significativamente reagito.
Non abbiamo significativamente reagito all’affronto fatto alla nostra Costituzione, permettendo a questo Governo di dismettere la scuola statale e privatizzare l’Università; non abbiamo significativamente reagito all’affronto fatto all’istituzione democratica che dovremmo orgogliosamente rappresentare, la scuola, strumento di emancipazione culturale e sociale, palestra di cittadinanza critica, attiva e partecipativa.
Non abbiamo significativamente reagito in difesa del diritto allo studio dei nostri figli, dei nostri studenti, dei nostri futuri concittadini.
L’Invalsi e la sua inettitudine, imposti come un carico insopportabile di lavoro sbagliato e inutile al quale in troppi non si sono sottratti, e non hanno sottratto i nostri studenti, sono l’ennesima dimostrazione della nostra, desolante autobiografia di una nazione.
Anna Angelucci
Coordinamento scuole secondarie di Roma