La ricaduta contrattuale relativa alla richiesta dell’ordine dei docenti è un contratto fuori dal pubblico impiego.
Ma si tratta di un contratto specifico per la scuola, per tutta la scuola.
Nulla a che vedere con il contratto separato per i soli docenti, propugnato dalla Gilda ed al quale la
Moratti s’era detta in un primo tempo favorevole.
Innanzitutto quando si dice “Moratti”, basta la parola, e già i favori tributati dal ministro a tale ipotesi dovrebbero far suonare un campanello di allarme.
La “nostra” ha subito capito che il contratto separato non sarebbe costato nulla né sotto il profilo economico, né sotto quello normativo e professionale (le retribuzioni resterebbero vincolate a quelle del pubblico impiego ed il codice deontologico continuerebbero a scriverlo …. i cardinali).
E infatti la marcia indietro dell’attuale esecutivo è solo dovuta a “cause di forza maggiore”.
Meri motivi di opportunità politica.
Ovvero la necessità di mantenere contatti con CISL e SNALS, che mai accetterebbero (ma solo per
pure questioni di principio) il contratto separato, ha bloccato il piano.
Non è certo per l’onere economico (nullo) o per una svolta nell’assetto normativo degli insegnanti, che il contratto separato non si farà.
Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto, pur essendo prevalente nella scuola la funzione docente, essa non è l’unica e non si sono mai viste scuole aperte senza il contributo di amministrativi, tecnici ed ausiliari.
Noi siamo il sindacato delle funzioni e dobbiamo dare, pur senza commistioni improprie, ad ogni funzione quello che le spetta.
Inoltre è innegabile che complessivamente esiste una differenza fra il comparto scuola ed il resto del pubblico impiego.
Basti pensare alla differenza fra il ruolo dell’usciere di un ministero e quello dell’ausiliario di un istituto.
Il primo è prevalentemente addetto a dare indicazioni sull’ubicazione degli uffici, il secondo ha anche oneri di vigilanza su minori.
Secondariamente, il contratto separato non servirebbe soprattutto ai docenti, condannati a vivere in un comparto di impiegati da gabellatori che credono di poterli infinocchiare perché “separati in casa”.
Uno specchietto per le allodole, un istituto interno al pubblico impiego, con le (vergognose) compatibilità ad esso imposte: col “contratto separato” non sarebbero ad esempio possibili aumenti pensionabili e non legati al “merito” o al cottimismo.
Ergo, non si potrebbe mai parlare di retribuzione europea, perché questa comporta invece una perequazione dello stipendio-base.
E che ce ne faremmo poi di un contratto “separato”, ma sempre interno anche agli altri diktat del DL 29/93?
Sarebbe sempre un contratto senza il ruolo docente (abolito come il resto con il CCNL del ’95, perché allora si sono recepiti nella scuola gli imperativi della privatizzazione del contratto di lavoro non imposti all’Università solo perché estranea al pubblico impiego), senza gli scatti di anzianità e con la riconversione selvaggia, la cassa integrazione, la licenziabilità per esubero e il “dirigente”!
Occorre un contratto ex novo, fuori dal pubblico impiego e specifico per la scuola, fuori dalla logica da “servizio” perché – va ricordato ancora – interprete del dettato costituzionale che definisce scuola ed Università quali istituzioni.
Perciò l’Università non ha subito la privatizzazione del rapporto di lavoro e quindi per la scuola si tratta di una rivendicazione elementare e di successo, anche come effetto della lotta per la costituzione di un ordine dei docenti.
Ma il governo attuale aborre tutto ciò, come i precedenti, coltivando costoro gli appetiti dell’impresa, nonché del mondo politico e clericale a danno dell’istruzione pubblica.
Al di là di analogie e differenze con l’Università, i contratti si definiscono per l’ambito nel quale sono collocati, ed un contratto “separato” per gli insegnanti, ma interno al pubblico impiego, sarebbe solo
un infingimento rispetto al problema dello specifico della funzione docente, così condannata a negare se stessa proprio con il darle ad intendere di essersi ritrovata e con lo scopo evidente di farle dimenticare per sempre la sua natura, in realtà ingabbiata definitivamente in un ambito, il medesimo, da sempre costruito per affogarla.
Ben altra cosa è l’ordine, perché afferma una distinzione professionale, destinata per forza ad influenzare l’ambito contrattuale imponendo l’unica svolta determinante: il riconoscimento dell’esistenza dei professionisti della formazione, afferma di per sé l’incompatibilità con il ruolo impiegatizio sovrapposto alla funzione sociale della scuola, nonché l’analogia con l’università, per la creazione di un unico comparto votato integralmente – in ogni settore e competenza – alla causa dell’istruzione.
Infatti da questo orecchio paiono esser tutti sordi: comprese tante associazioni “professionali” molto più sensibili alle monadi della politica che agli interessi dei docenti: esse inseguono le sirene del virtuale
“contratto separato” ma non perseguono la strada dell’ordine.
Trattasi di APEF e DIESSE, che hanno i loro referenti nella destra politica (i primi vicini ad Adornato, i secondi, nonostante il nome, legati a Comunione & Liberazione e Formigoni).
Poi c’è l’area di “centro”, con i vecchi democristiani dell’AIMC o dell’UCIIM, legati ad un rapporto dialettico con la CISL ed ai suoi padrini politici.
Infine il CIDI e l’MCE, organici alla CGIL.
Si potrebbe dire che, contrariamente alle apparenze, il mondo dell’associazionismo (con rare encomiabili eccezioni) è infestato da alcuni fra i più pericolosi nemici del riconoscimento della professionalità docente tramite l’ordine, soggetti che rappresentano interessi totalmente contrapposti pur ammantandosi di un’aura “professionalistica”.
Giocano la loro battaglia per mantenere o conquistare la propria presenza in forme di aggiornamento burocratico da instant book, nei carrozzoni IRRE, nel mondo dei “formatori”, fiancheggiando i vecchi e nuovi padroni di sempre e pagando tributi ai sindacati (che alcuni vorrebbero poi rimpiazzare per aprire a contratti per prestatori d’opera senza vincoli nazionali).
La loro è una “guerra di posizione”: i DIESSE cercano di scalzare il CIDI e gli altri dal ruolo di interlocutori privilegiati del palazzo, “amministrando politicamente” la riforma Moratti così come le loro scuole private.
Gli amici di Berlinguer cercano di resistere in attesa del ritorno di tempi migliori, riproponendo sfacciatamente ancora il “disordino dei cicli”!
Tutti hanno già messo in conto l’eliminazione di ogni organo di rappresentanza democraticamente eletto dai docenti e dagli ATA (cosa concordata da anni con i sindacati), per rimpiazzarli d’ufficio: al posto del Consiglio Nazionale dell’Istruzione e dei Consigli Scolastici Provinciali una ridda di associazioni autoreferenziali mai sottoposte a verifica elettorale, ma riconosciute dalla nuova monarchia del ministero per occupare il nodo strategico dell’INVALSI (ex CEDE), deputato ora come allora a “valutare” i docenti e ad imporre strategie partorite dalle teste d’uovo di lobby universitarie che vogliono segnare definitivamente il loro dominio sulla scuola (. da Vertecchi a Bertagna!).
Dominio segnato un tempo con i concorsoni a quiz, oggi con una formazione differenziale dei docenti, bassa truppa da dividersi a fette con la scusa della “carriera”, meri esecutori con stato giuridico impiegatizio messi a servizio su progetti calati dall’ alto in funzione di arricchimenti prevalentemente esterni alla scuola militante.
Non è quindi un caso se solo l’associazione professionale “l’AltrascuolA”, molto vicina all’Unicobas, si sta battendo per l’istituzione dell’ordine dei docenti.