di Stefano d’Errico (Segretario nazionale dell’Unicobas Scuola)
L’assenza di democrazia sindacale e lo scippo delle elezioni RSU In Italia vige una legge sulla rappresentanza sindacale che è già di per sé davvero singolare. Con le elezioni RSU non si definiscono solo coloro i quali vengono indicati dal personale (docente ed ATA) per la trattativa sul contratto di istituto, bensì viene stabilita anche la “rappresentatività” nazionale delle organizzazioni sindacali. Solamente che, pur avvenendo il calcolo della rappresentatività sulla base dei voti ricevuti nell’intero Paese, non sono previste elezioni nazionali: il calcolo del quorum necessario per venire riconosciuti come “maggiormente rappresentativi” lo si ricava quindi dall’insieme di voti presi dalle liste presentate, scuola per scuola, nei 10.000 istituti del “regno”. L’elettore non ha quindi facoltà di indicare qualsiasi sindacato desideri, ma solo quelle liste che trova nella scuola d’appartenenza: sarebbe come se nelle elezioni politiche non si potesse (liberamente decidere di) votare per un partito che non avesse presentato propri candidati nel seggio elettorale! Va da sé che, meno liste si presentano, meno voti si prendono.Inoltre, esiste una (ben programmata) disparità rispetto ai diritti: le sigle già “maggiormente rappresentative” (…assai) hanno tutte le facilitazioni, le altre non ne hanno nessuna! Vale a dire che CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda godono di 2.000 distacchi interamente pagati dallo stato (cioè dai contribuenti), noi non ne abbiamo neppure uno. Costoro possono usufruire anche di una montagna di permessi sindacali, mentre noi abbiamo solo quelli guadagnati sul campo dalle nostre RSU elette (e nessuno come sigla), interamente utilizzati per le contrattazioni di istituto.In più, CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda possono fare tranquillamente la campagna elettorale dove vogliono, mentre a noi viene negato persino il diritto di assemblea in orario di servizio. Questa cosa, in particolare, va oltre ogni immaginazione giuridica: pur dovendo noi cercare candidati e sottoscrittori scuola per scuola, non potremmo in alcun modo avvicinare il personale, neppure dove già abbiamo RSU elette. Infatti, violando apertamente lo Statuto dei Lavoratori (L. 300/70, art. 20), – che (testualmente) dispone che le rappresentanze sindacali possano indire assemblee in orario di servizio “disgiuntamente o congiuntamente” – in aperto conflitto d’interessi, CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda hanno il coraggio di ripetere di contratto nazionale in contratto nazionale che solo a loro come sindacati sarebbe consentito l’esercizio di tale diritto in qualunque scuola (indipendentemente dall’esistenza o meno delle loro sigle in sede locale), dovendo poi la RSU convocare le assemblee solo secondo il principio staliniano della unanimità. Così alle nostre RSU sarebbe interdetta persino la consultazione di quei docenti ed ATA che le hanno elette, se non sotto la “sorveglianza” di quelle delle liste concorrenti, mentre al nostro sindacato in quanto tale non sarebbe mai possibile farsi conoscere. Ma hanno fatto male i conti: ci siamo rivolti alla Magistratura e ben quattordici sentenze sul territorio italiano hanno dichiarato illegittimo il vergognoso articolo del CCNL, ed è per questo che l’Unicobas continua a tenere assemblee (mentre, ad esempio, i COBAS, molto più impegnati sul piano politicista che su quello giuridico, non sono riusciti a vincere più di una causa e stanno letteralmente sparendo). Il più delle volte ciò avviene però solo nelle scuole dove già abbiamo almeno un eletto, perché nella confusione generale determinata dagli interventi ricattatori degli esponenti di altri sindacati, vengono più facilmente organizzate assemblee dove abbiamo già una base di consenso. Se non sono riusciti (come avrebbero voluto) a farci sparire, tutto questo – unitamente all’assenza dei permessi per chi tiene le assemblee – rallenta la nostra crescita e tende a confinarci dove abbiamo già “sfondato”. La cosa è totalmente inaccettabile anche in linea di principio, perché trattasi del sequestro del diritto di scelta dei lavoratori della scuola, ai quali cercano d’imporre l’obbligo di usare le loro 10 ore annue pro-capite solo in assemblee gestite da CGIL, CISL, UIL SNALS e Gilda. Ne risulta un vero e proprio sequestro della libertà di scelta, che non può venire motivato neppure con il rischio di aumento degli oneri dello stato, dal momento che il totale delle ore è fissato a priori dallo Statuto dei Lavoratori e non segue certo l’incremento del numero delle sigle sindacali.Non bisogna poi dimenticare che il marchingegno della legge è costruito per garantire comunque ai sottoscrittori di contratto – e più fanno schifo i contratti firmati …più “rappresentativi” questi diventano – il mantenimento del riconoscimento istituzionale. Infatti costoro conserverebbero il proprio status persino a voti zero! La legge richiede un quorum del 5%, ma non solo sui voti, bensì come media fra la percentuale di consensi elettorali ottenuta e quella sul totale dei sindacalizzati. Siccome essi (tranne la Gilda) possiedono tutti almeno il 10% su quella minoranza della categoria (35%) che ha aderito ad un sindacato, anche qualora non presentassero neanche una lista o non raccogliessero neppure un voto raggiungerebbero “d’ufficio” la percentuale richiesta (10:2═0). Si rifletta sul fatto che se, anche per miracolo – nonostante la diabolica normativa che obbliga a raggiungere le scuole senza permessi e senza diritti – l’Unicobas ottenesse ad esempio il 7% dei voti sul territorio nazionale, questo dato, che consentirebbe ad un partito di essere fra i primi quattro del Paese, non basterebbe: occorrerebbe anche aver conseguito il 3% sui sindacalizzati, pur essendo il 7% calcolato sul 70% che va a votare: esattamente il doppio di quanto consente il mantenimento della “rappresentatività” in capo a CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda!Una normativa nata per impedire a qualunque sindacato nuovo di emergere. Se l’On. Bassanini che l’ha concepita (un vero …democratico!!!), l’avesse consigliata a Jaruzelski o a Pinochet, non si sarebbe data la necessità di mettere fuori-legge Solidarność o di sciogliere i sindacati. Trattasi di una legge votata (nel 1977) dal primo “Centro-Sinistra”, precedentemente l’uscita dal governo di “Rifondazione Comunista” (…che si chiede ancora, “spaesata”, come mai abbia perso tutti i consensi!). Una legge fortemente voluta dalla “democratica” CGIL, il sindacato della (peraltro condivisibile) battaglia contro l’abolizione dell’art. 18: solo che aveva già fatto strame (a proprio uso e consumo, contro i sindacati alla sua sinistra) dell’art. 20 del medesimo Statuto dei Lavoratori!Dulcis in fundo, CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda possono per legge recarsi a contrattare anche laddove non hanno raccolto consensi o mai presentato neppure una lista, mentre all’Unicobas è interdetto (sempre per contratto) di affiancare, persino “tecnicamente”, le proprie rappresentanze elette nelle scuole.Queste cose occorre tenerle ben presente, perché, come abbiamo visto (e vedremo anche in seguito), “vengono da lontano”, ed hanno portato il Paese troppo lontano (dalla democrazia sostanziale). Per capire davvero come mai si sia giunti all’abisso attuale, è decisivo intendere come sia stato possibile un (complessivo) simile degrado. Al contrario, senza analizzare il percorso, risulterebbe oltremodo difficile scegliere la strada giusta per riprendersi…Contro l’antidemocratica legge sulla rappresentanza sindacale abbiamo prodotto un disegno di legge (pubblicato sull’ultimo numero del giornale) presentato in Parlamento dall’Italia dei Valori, teso a modificare anche le altrettanto vergognose norme che consentono solo ai sindacati tradizionali (introdotti nel CNEL per esclusiva via parlamentare) di iscrivere i pensionati, i quale rappresentano più del 50% degli aderenti a CGIL, CILS e UIL. Perché il “rinvio”? Occorre riflettere anche sul perché, persino una legge del genere, abbia oggi nemici nel “Palazzo” del “buon governo” del clan del Cavaliere. Come mai c’è chi non vuole le elezioni RSU? Il riferimento, del tutto casuale, cade sul buon Brunetta. Costui, visto che la legge in questione non ammette proroghe e che le ultime elezioni sono state consumate esattamente secondo la scadenza fissata, ovvero 3 anni or sono, dal Giugno scorso ha pensato bene di intervenire, proponendo un decreto che ne avrebbe disposto il rinvio, per tutto il Pubblico Impiego (calderone indistinto nel quale siamo impropriamente inseriti), di ben tre anni!La prosecuzione della favola impone di ricordare che, a quel tempo – visto che la legge medesima demanda ancora una volta alle OOSS “maggiormente rappresentative” di aprire la procedura elettorale – solo la CGIL (e solo perché oggi non governa Prodi) si ricordò che bisognava disporre lo scadenzario. I valorosi rappresentanti nazionali di questo sindacato si recarono quindi all’ARAN – carrozzone messo in piedi nel 1993 per “risparmiare” e far sì che si sottraesse ai direttori generali dei ministeri (già retribuiti in proprio) la titolarità delle contrattazioni del Pubblico Impiego, per destinarle a soggetti che guadagnano esattamente come noi (anche 170 mila euro l’anno!) – per la sottoscrizione del necessario “protocollo d’intesa” endosindacale. Notiamo a parte quanto sia significativo che alla loro scadenza le elezioni in oggetto non vengano rinnovate automaticamente, essendosi fatto in modo che una scadenza tanto importante sia gestita da norme imposte da chi sta “al governo” nel mondo sindacale, come se per le elezioni politiche occorresse aspettare che uno o più fra i due partiti “maggiormente rappresentativi” stabilissero le modalità delle consultazioni, pur essendo scaduta la legislatura. Segnaliamo invece che l’ARAN non ha subito rispettato la legge vigente: ha risposto alla CGIL che, vista la proposta Brunetta (ancora non sottoposta al vaglio del Parlamento) le elezioni “non s’avevano da fare”. In tal modo, rinviata sine die la riunione e registrato l’appoggio di CISL, UIL, SNALS e Gilda – tutte schierate con l’Agenzia e Brunetta a partire dalle stesse singolari motivazioni – solo all’alba del 2 Settembre, e solo perché il Ministro della Finzione Pubblica, lasciato il decreto nel cassetto per tutta l’estate, non è stato così efficiente come vorrebbe far credere, ob torto collo, l’ARAN e le OOSS “amiche” siglano l’accordo.Davvero singolare che delle OOSS, anziché occuparsi di contrastare la disastrosa “riforma” Gelmini, si siano prevalentemente preoccupate di impedire le elezioni sindacali: in tal modo, si sono per l’ennesima volta mostrate per ciò che sono. Nessuna meraviglia: avendo nei fatti appoggiato la Berluscuola, temevano una débâcle elettorale.In ogni caso, dal 13 Ottobre al 2 Novembre si sono presentate le liste, dovendosi votare nei giorni 1, 2 e 3 Dicembre. Ma, a ricordare la loro contrarietà alle elezioni, CISL, UIL, SNALS e Gilda si sono nel frattempo “eclissate”: solo Unicobas e CGIL hanno depositato candidature.Però la storia (squisitamente “italiana”) non finisce qui: nella data di Venerdì 9 Ottobre, giorno del nostro sciopero (proclamato non a caso), in occasione della discussione del (suo) decreto legislativo sul “riordino” (?) della Pubblica Amministrazione (quello delle vessazioni ai malati, della valutazione dei travet da parte del capo-ufficio e della caccia al “fannullone” – già ottimi motivi per proclamare uno sciopero), il buon Brunetta si ricorda delle RSU ed inserisce a mo’ d’emendamento il rinvio di un anno (quindi solo per la scuola, visto che nel restante calderone si deve votare nel 2010).Si dà il caso che il DDL Aprea – del quale parleremo diffusamente fra non molto – elimini di fatto le RSU della scuola: quelle dei docenti verrebbero ricostituite a livello regionale (non avendo più nulla a che fare con il singolo istituto), quelle del personale ATA la vulcanica autrice le ha proprio dimenticate, così che amministrativi, tecnici ed ausiliari resterebbero privi di ogni rappresentanza sindacale elettiva! Il dato politico è scontato. È certo più facile discutere e far approvare una simile legge, ed eliminare le RSU, a fronte di elezioni che una categoria spossata (ed anche un po’ disattenta) ha visto farsi l’ultima volta 3 o 4 anni or sono, piuttosto che con delle RSU appena rielette. I tagli della Berluscuola. Esuberi e decreto sul precariato Secondo quanto dichiara lo stesso Tremonti, la manovra generale legata ai provvedimenti Gelmini produrrà complessivamente dal 2009/2010 al 2011/2012 la bellezza di 130.000 tagli: 45.000 posti ATA (una percentuale maggiore di quella relativa ai docenti) ed 85.000 cattedre. In realtà il “ministro unico” glissa su due operazioni in ombra che interessano la Scuola Superiore: da quest’anno, con 9.000 tagli già operati (nonostante la controriforma vada a regime dal 2010/2011), sono state illegittimamente costituite cattedre ben superiori alle 18 ore (persino di 23) e gli “spezzoni” seguono una diversa gestione. In tal modo s’aggiungono altri 20.000 tagli, e la riduzione di cattedre della Scuola Superiore raggiungerà quota 50.000 (mentre il governo ne dichiara “solo” 30.000). Il totale complessivo sarà quindi di 150.000 posti in meno entro il 2012.Già con la riduzione relativa all’organico 2009/2010, sono state eliminate 43.000 cattedre. A fronte di 30.000 pensionamenti, il Governo ha varato il decreto cosiddetto “salvaprecari”, spiegandoci che “salvando” 13.000 incarichi annuali non si sarebbero prodotti drammi occupazionali. Il piccolo problema è che i precari rimasti senza lavoro non sono certo così pochi. Con una media d’età di 56 anni (da trent’anni in giù fra noi abbiamo solo il 3% di personale stabile), la nostra è la categoria docente più anziana del Continente e, da ben prima di Berlusconi e soci, anziché favorire il ricambio, s’è fatto il contrario. Dai tempi della Jervolino s’è disposto un costante trend d’aumento del numero di alunni per classe, assumendo anche poco rispetto ai pensionamenti: i precari sono almeno 150.000, e le disposizioni della Gelmini riducono di molto persino le supplenze brevi. Inoltre, se da una parte il Governo (vergognosamente) se ne infischia dei precari ATA, dall’altra riserva anche ai destinatari del provvedimento un trattamento indecente. Pretende un impegno di “piena disponibilità” e reperibilità, ma in caso di sotto-utilizzazione garantisce loro solo il 70% dello stipendio. Il sistema è peraltro assurdo, visto che, non esistendo in Italia un vero salario di disoccupazione, le somme eventualmente corrisposte da Tremonti saranno meri anticipi sulla liquidazione. Non male per una generazione destinata già ad una pensione da fame.La flessibilità dei precari comporta persino l’utilizzazione nei Centri di Formazione Professionale, gestiti da Enti Locali ed agenzie a capitale misto, società a responsabilità limitata e per azioni, dove lo stato giuridico è tutt’altro rispetto alla scuola di stato. E’ un pericoloso precedente anche per quanti andranno in esubero, e col tempo saranno tanti, non potendosi certo assorbire un taglio di 150.000 unità di personale col mero blocco del turn-over. Siamo di fronte alla manovra più pesante nella storia dello stato unitario, ma la cosa viene praticamente ignorata: i sindacati “rappresentativi” dormono (solo la CGIL ha fatto uno sciopero, ma “general-generico per il “pubblico impiego”), i media tacciono, l’imbonitore nazional-popolare Vespa “doverosamente” ignora e stessa prassi hanno adottato anche “Ballarò” e “Report”. Così il ministro-commercialista può continuare a dare numeri al Lotto e parlare indisturbato di un 8% di tagli, facendosi lo sconto ed addomesticando la matematica, come sempre quando si parla di scuola: una categoria di un milione di persone! Cosa ha già prodotto la controriforma? Nella Scuola Primaria tutti si sono resi conto dei disastri causati dal maestro unico (o “prevalente” che dir si voglia): rottura dell’unitarietà del tempo pieno, con un titolare a 22 ore ed un altro a 18 (e completamento in altre classi); distruzione definitiva dei moduli, con docenti spalmati anche su 10 classi (alla faccia del modello più stabile di riferimento!).Per quanto attiene al tempo pieno, occorre dire che una prima battaglia è stata vinta. Il Governo ha bleffato. Il gioco era semplice ma l’esito non era scontato: giocando sull’attacco al modello e l’instabilità dell’offerta, Tremonti & C. speravano che quanti hanno davvero bisogno del tempo pieno si sarebbero rivolti alle scuole private. Contemporaneamente puntavano sulla “presa” delle “nuove” (sic!) proposte: 27 (richieste solo dal 3% delle famiglie) e 30 ore (solo il 7% di iscrizioni). Ma alla fine hanno perso. L’esiguità della domanda li ha spiazzati: contemporaneamente la domanda di tempo pieno è salita dal 27 al 34%. Perché mentivano sapendo di mentire: mentre sostenevano che il tempo pieno sarebbe “salito”, puntavano ad una sostanziale riduzione. Tanto che nelle disposizioni sulla formazione degli organici era scritto nero su bianco che il tempo pieno del presente anno scolastico non avrebbe potuto superare quello dell’anno precedente! Sono invece stati costretti ad allargare i cordoni della borsa, ma anche a sbugiardarsi, visto che comunque migliaia di famiglie non hanno poi ottenuto quanto aveva chiesto.È ben visibile ciò che hanno prodotto le lotte dello scorso anno: sono state preservate le ore di programmazione (che volevano utilizzare per organico e supplenze) e quelle di contemporaneità. Ma questo è un punto dolente. Infatti, laddove il Collegio Docenti non sfrutta la possibilità di destinare tali ore a progetti mirati al recupero ed all’arricchimento dell’offerta formativa (come legittimamente prevede tuttora il CCNL), ma lascia invece nelle mani del dirigente la destinazione delle compresenze, succede che le ore medesime vengano disposte sulla base di un orario costruito tutto in funzione della copertura degli assenti, indipendentemente dalla giusta esigenza dei docenti di avere un piano settimanale “legato” ed organico. In tal modo, avanza nella primaria lo spettro dell’orario-gruviera, con “buchi” e rientri come nella Media, ma a partire da un obbligo settimanale di 24 ore. La presenza a scuola s’allunga così anche a 30 h. (più organi collegiali). Una cosa insostenibile ed inaccettabile, la cui responsabilità cade però anche su quella parte del corpo docente, imbelle e supina (trasformata in “tappabuchi”), incapace di far rispettare i propri diritti utilizzando la facoltà di delibera che in merito fornisce il contratto. Abbiamo sentito le cose più strane: persino l’accumulo d’ufficio (magari mediante la pratica “bonaria” di chiederne un’assolutamente non dovuta autorizzazione scritta ai docenti) delle ore di disposizione sottratte ai progetti e destinate a supplenze, qualora non siano state utilizzate, nonostante gli insegnanti siano rimasti a disposizione. Il tutto per richiamare per altre supplenze (allungando l’orario gratis et amore Dei) o per far svolgere attività (anche amministrative) quando la scuola sarà chiusa agli alunni. Trattasi di cosa assolutamente illegittima se imposta d’autorità. Per quanto riguarda i mesi di Giugno e Settembre, si ricorda peraltro che i docenti sono tenuti alla presenza a scuola solo per attività programmate dal Collegio (e non sono tenuti alla firma).Non bisogna ascoltare le contumelie spesso utilizzate dai dirigenti, i quali – ben sapendo di operare una forzatura – sostengono di tutto. Facciamo degli esempi.“Non ci sono i soldi per le supplenze”. La cosa è irrilevante: i precari verranno comunque retribuiti, sia se i fondi sono in ritardo (ed è meglio che non lavorare affatto), sia se occorre chiedere un rifinanziamento. Una circolare del MIUR (pubblicata su questo numero del giornale), chiarisce bene che – onde evitare la palese violazione del diritto allo studio – si possono fare contratti anche per un giorno solo, non unicamente nella Primaria per il tempo pieno (com’è di regola), ma persino nella Scuola Media e Superiore (ed addirittura in deroga alla Legge Finanziaria).“Si dividono le classi”. “Si usa l’insegnante di sostegno per le sostituzioni”. La stessa fonte (che peraltro ribadisce norme esistite da sempre), interviene anche ad evitare la nefasta divisione delle classi, assolutamente vietata per legge, o l’affidamento delle stesse all’insegnante di sostegno (anche se contitolare di classe). Se non v’è nessuno a disposizione (e la disponibilità per le supplenze può essere solo volontaria), occorre rifiutarsi di accogliere alunni di classi divise, se non in presenza di ordine di servizio scritto. Tale ordine di servizio (la cui richiesta generalmente ottiene già lo scopo di far decadere il tutto, perché i dirigenti non lo stilano), è sempre illegittimo se non deriva da un caso del tutto fortuito ed eccezionale (malore improvviso et similia), va girato in tempi brevi al nostro sindacato, di modo che lo si possa contestare. Quando da una medesima scuola ci giungono più ordini di servizio che pretendono la divisione delle classi, dimostrando questo che trattasi di prassi corrente, provvediamo a produrre denuncia presso la Procura della Repubblica competente. Bisogna finire di essere complici di questo modo di fare, che contribuisce stabilmente a puntellare l’edificio della berluscuola, a dequalificarci professionalmente, togliere lavoro ai precari ed a smantellare la scuola pubblica a tutto vantaggio degli istituti privati (una delle principali ratio della “riforma”). Non possiamo certo essere più “gelminiani” della Gelmini o “brunettiani” di Brunetta! Il minimalismo culturale Ci hanno detto che “non dobbiamo far politica”. Lasciamo da parte il giudizio su una tesi del genere, la quale dimostra insieme grande ignoranza (quando si parla di scuola si tratta di politica scolastica) e vocazione autoritaria: che, la politica la devono fare solo loro? O è per caso un richiamo all’allegro ventennio, quando Mussolini faceva affiggere d’autorità in tutti i locali pubblici un cartello che recitava testualmente: “Qui non si fa politica”? Raccogliamo però l’invito ad essere il più “oggettivi” possibile.Di Berlusconi si può dire di tutto, tranne che abbia fatto la marcia su Roma: è stato gradito (e pare lo sia tuttora) dalla maggioranza del Paese. Se ciò significa che l’Italia ha esattamente quel che merita, dimostra anche che quanti s’oppongono devono imparare ad interloquire anche con gli elettori di segno contrario.Da questo Governo alcuni attendevano una riforma in linea con la tradizione della destra storica. Il richiamo corre doverosamente a Gentile, autore di una scuola piramidale, autoritaria, classista e di genere (ricordiamo il taglio e cucito). Un impianto che dava per scontato che esistesse una sola scuola vera e d’elite, con il resto come appendice e succedaneo. Però almeno il liceo classico di Gentile era una scuola seria, ed i programmi erano dovunque estesi e compiuti. Bene, cosa direbbe oggi Gentile di una “riforma” che marginalizza il latino nel Liceo Scientifico? Che direbbe della riduzione generalizzata delle ore per materia, che investe tutti gli ordini e gradi di scuola?Prendiamo ad esempio la Primaria: dai tempi della Moratti (ed i suoi “ritocchi” sono stati lasciati intonsi da Fioroni e cosiddetto Centro-Sinistra), in quella che fu la miglior Scuola Elementare del mondo (dati OCSE 1990), nella classe quinta non s’arriva più al giorno d’oggi, bensì alla fine dell’impero romano. In compenso si resta due/tre anni sull’età delle caverne! Vagli poi a parlare della “giornata della memoria” (come prevedono ancora – e giustamente – le circolari ministeriali)!Di contro, il governo delle “tre i”, ha quasi eliminato le ore di bilinguismo e di informatica (taglio delle cattedre di educazione tecnica) nella Scuola Media. E che dire della riduzione da 11 a 9 delle ore di lettere (dal novero delle quali, peraltro, viene ricavata la “grande innovazione” dell’educazione civica, oggi “educazione alla cittadinanza”)?Distingue la controriforma un impianto minimalista che non solo è privo di riferimenti a questa o quella tradizione politico-culturale, ma che non ha alcuna radice in Europa. Solo negli USA la storia non è considerata materia curricolare, ma di mero approfondimento universitario: gli statunitensi studiano solo la storia “dell’Unione”, dalla rivoluzione americana in poi. Una scuola che speriamo Obama possa modificare, se riesce ad attuare la riforma sanitaria. Ecco l’esempio luminoso della berluscuola! La scuola di un Paese dove – mediamente – gli studenti che s’approssimano alle Università (tutte gestite da fondazioni, come imposto dallo scorso anno anche agli Atenei italiani), nei test d’ingresso, molto selettivi (la percentuale di frequenza è molto inferiore al dato europeo), collocano ad esempio la Turchia ai confini col Canada.Una scuola spesso di mero apprendistato, meccanicista, monoprofessionalista e comportamentista. Così come diventeranno i nostri Istituti Tecnici e Professionali (questi ultimi sottoposti anche ad una regionalizzazione dovuta oggi agli appetiti dei fautori della scuola nazionale padana). Lo strumento per tagliare è la riduzione del tempo-scuola, ridotto ad un massimo di 32 ore settimanali. Basta pensare agli Istituti d’Arte, che attualmente hanno 40 ore. L’abbassamento della qualità si determina soprattutto con il “riordino delle classi di concorso”, così si potranno insegnare materie per le quali non s’è sostenuto neppure un esame universitario. Il DDL Aprea La signora Valentina, già sottosegretario al tempo del dicastero Moratti, è oggi presidente della Commissione Cultura della Camera: esattamente dove il suo DDL viene discusso in sede referente. Di che si occupa la Aprea (responsabile scuola del PDL)? Di distruggere tutto ciò che per la Gelmini era fuori portata: gestione delle scuole e stato giuridico del personale.Tutto ruota intorno alla concentrazione massima dei poteri nella figura del dirigente scolastico.Si comincia con la trasformazione delle scuole in fondazioni, gestite da Consigli di Indirizzo con la filosofia dei consigli di amministrazione (che prenderanno il posto dei Consigli di Circolo ed Istituto), non più presieduti da un genitore, ma appunto dal dirigente. Per far posto al privato, inteso non più solo quale sponsor, bensì come committenza, la componente del personale della scuola viene ridotta di numero. Acquisendo il capitale privato persino la proprietà dell’edilizia scolastica, si rendono possibili due aberrazioni: la speculazione sugli edifici (trasformazione d’uso delle scuole dei centri storici, e spostamento delle stesse nelle periferie) ed un vulnus per la libertà d’insegnamento. Questo è reso possibile grazie all’avamposto dell’aziendalizzazione, introdotta (insieme al dirigente) dal 2000 col placet dei sindacati “rappresentativi”, a causa della quale il Piano dell’Offerta Formativa viene solo elaborato dal Collegio dei Docenti, ma adottato dal Consiglio. Un Consiglio la cui componente maggioritaria non avrà i necessari strumenti in campo metodologico-didattico per vagliare il POF e sarà anche piegato (com’è di moda) ad un conflitto d’interessi strutturale.Esattamente come nelle scuole private, si continua con l’assunzione e la valutazione diretta del personale, smantellando il sistema dei concorsi nazionali o regionali e passando a bandi e commissioni esaminatrici di istituto presiedute dal dirigente scolastico, con una parte dei posti strutturalmente a termine e l’intromissione delle lobbies (ed i “suggerimenti”) del privato anche nel reclutamento. S’introduce una carriera da travet, divisa in cinque distinte fasce stipendiali dove il personale viene collocato in base alla discrezionalità del dirigente.A questo punto occorre una breve digressione. Dall’approvazione del Dlvo 29/1993, che privatizzò il rapporto di lavoro di una parte di quello che prima era il pubblico impiego (scuola compresa, ma con l’esclusione dell’Università ed altri settori), in tutti i contratti nazionali di lavoro, a cominciare dal 1995, quello che prima si chiamava preside (prima che divenisse dirigente) viene definito “datore di lavoro”. L’operazione ebbe la benedizione di tutti i sindacati “rappresentativi” (e vide la nostra feroce opposizione). Possono costoro, quindi, oggi “stracciarsi le vesti” di fronte all’operazione Aprea, la quale non fa altro che portare alle estreme (e già scontate) conseguenze un percorso che proprio CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda hanno avviato, sottoscrivendo tale vergogna ad ogni scadenza contrattuale? Era del tutto evidente che il “datore di lavoro” prima o poi avrebbe anche assunto direttamente il personale.Ma qual è la situazione relativa all’iter di approvazione del DDL Aprea? Sino all’aprile 2009, erano state presentate solo due disegni di legge concorrenti (e non alternativi). Uno di Cota, della Lega Nord, che si preoccupa d’imporre l’assunzione regionale, con possibili “completamenti” dalle regioni confinanti, ma previa prova dialettale. L’altro del Partito Democratico. Questo assai preoccupante, perché ha “titoli” diversi, ma sostanza pressoché analoga. Ad esempio, mentre la Aprea mostra almeno il coraggio di eliminare la “rottura di scatole” rappresentata dal Collegio dei Docenti, sostituito da “dipartimenti” meramente esecutivi delle volontà del dirigente (cosa già contenuta nella riforma degli Istituti Tecnici), il PD mantiene l’organo, ma consente che venga diviso ad inizio d’anno in dipartimenti di nomina dirigenziale. Per quanto riguarda il Consiglio (d’amministrazione), continua a chiamarsi come oggi, ma viene rivisto nel novero dei componenti e vi si fa ugualmente posto al gestore privato. Il DDL dell’Unicobas presentato (e tradito) dall’IDV Visto lo “stato dell’arte”, abbiamo pensato di scrivere noi una proposta di legge che, elaborata e discussa nel convegno nazionale del 22 Aprile 2009 svoltosi a Roma presso l’ITIS “Galilei”, è stata presentata dall’Italia dei Valori il 16 Maggio 2009. Noi giudichiamo i partiti in base a quello che fanno o non fanno per la scuola: presentare un testo così avanzato, che esprime sin nel “dna”, la battaglia che dagli anni ’90 l’Unicobas conduce per la scuola, sembrava davvero un impegno importante. Purtroppo l’IDV non ha poi fatto nulla per pubblicizzarlo e sostenerlo, arrivando addirittura a negarlo nei fatti (vd. nota SCUOLA E RAPPRESENTANZA SINDACALE: DOVE VA DI PIETRO? in questo stesso account). Di questa politica poco seria l’IDV risponderà in sede elettorale ad insegnanti ed ATA. Intanto nel 2009 abbiamo ottenuto che s’allontanasse la possibilità “dell’inciucio” fra il Governo ed una certa tiepida “opposizione”, poiché il nostro ddl sarebbe discusso, articolo per articolo (come il regolamento della Commissione Cultura della Camera prescrive), contestualmente al dispositivo Aprea, rallentandone anche l’iter d’approvazione.Cosa contiene il nostro DDL è noto agli iscritti, perché il testo completo è stato pubblicato sul giornale “Unicobas” ed è da tempo sul nostro sito nazionale unicobas.it.Sinteticamente, vi si statuisce l’incompatibilità fra scuole e fondazioni, nonché fra Consigli d’Istituto e d’amministrazione (o simili). Gli Organi Collegiali vengono rilanciati, a cominciare dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (non più rieletto dal 1997) e dai Consigli Scolastici Provinciali (posti in sonno dalla “autonomia”) e di Distretto (eliminati dalla Moratti). Il Collegio dei Docenti, non solo rimane nella piena sovranità, ma elegge anche il preside (la figura del dirigente è soppressa).Viene creato, sulla scorta di quanto previsto per la Magistratura, il Consiglio Superiore della Docenza, elettivo a livello nazionale e regionale. Questo perché entrambi i settori godono di garanzie costituzionali precise e devono essere autonomi dal potere politico. Per la scuola, basti pensare ai programmi di storia che, per ovvi motivi, devono rimanere esenti dai diktat della ragion di stato. Il Consiglio Superiore soprassiede alla formazione di base dei docenti, che deve basarsi su lauree direttamente abilitanti con biennio e tesi ad indirizzo medologico-didattico, sviluppandosi sul tirocinio pratico. La scuola non può essere considerata il serbatoio di contenimento di tutta la disoccupazione intellettuale del Paese: si assumano direttamente i migliori dalle graduatorie universitarie.Viene istituito l’anno sabatico di aggiornamento, scorporabile in periodi, interamente retribuito (non come l’anno ogni dieci “regalatoci” da Berlinguer, per il quale dobbiamo pagarci persino i contributi pensionistici) e con pieno distacco dal servizio. L’aggiornamento in itinere in costanza d’impegno scolastico è una contraddizione in termini.Viene istituita l’area del ruolo unico docente, a parità normativa, d’orario (18 h.) e retribuzione, dalla Scuola dell’Infanzia al Superiore. Vi s’inserisce una vera carriera, tramite l’utilizzazione dei meritevoli, direttamente in sede universitaria, nell’ambito della formazione di base dei nuovi docenti. Si collocano “paletti” ben precisi: massimo d’alunni per classe (più basso in presenza di diversamente abili); retribuzione minima oraria in linea con la media europea.S’accorda al personale ATA un ruolo di coadiuzione educativa: se la funzione docente è del tutto specifica, anche il ruolo di aiutanti tecnici e collaboratori scolastici, comprendendo l’obbligo di vigilanza, è ben diverso da quello degli uscieri dei ministeri (peraltro meglio pagati).Si provvede infine alla disposizione fondamentale: un contratto per la scuola fuori dall’area contrattuale del “Pubblico Impiego”. Si tratta di una disposizione di senso comune e non a carattere “ideologico” (non è cosa di “destra, centro o sinistra”). Tutto si può dire della scuola, tranne che sia il comparto degli impiegati: esiste la libertà di insegnamento, non quella di “impiegamento”. Secondo la Costituzione, la scuola (come l’Università) è un’istituzione, non un servizio. Eppure si ricorderà la “carta dei servizi”, che definiva lo studente come un cliente. Il diploma è il risultato di un’interazione metodologico-didattica, non di un’analisi del sangue. Non è quindi un “atto dovuto”: occorre meritarlo. Del resto, chi ritiene che tutti vadano promossi e che insegnare il greco nel “Bronx” equivalga alla tortura, non ha letto né Berneri, né Gramsci: quando la scuola diviene un carnevale permanente, chi perde di meno sono i più abbienti, che già posseggono gli elementi di base della cultura, non quanti potrebbero avere nell’istruzione l’unico strumento per crescere. Ciò attiene al rispetto dei ruoli, non alla demagogia. E dalla demagogia di un certo segno come quella del “sei rosso” (Berlinguer), si passa facilmente a forme analoghe ma opposte: il cinque in condotta (quando persino il fascismo si accontentava del sette). Il nostro contratto, fotocopia di quello dei ministeriali o dei dipendenti degli Enti Locali, non produce certo rispetto per i docenti, tanto meno un’istruzione di qualità. L’idea che domina in sede di contrattazione è che noi si sia impiegati part-time che lavorerebbero solo diciotto ore e che abbiamo “troppe ferie”. Come viene dimenticato chi svolge anche venticinque ore con gli alunni (i meno retribuiti, anche se non c’è chi è “più docente assai”), il lavoro sommerso di preparazione e correzione non viene mai fatto emergere. Lo stesso accade per i rischi professionali di una funzione del tutto atipica quanto assorbente sotto il profilo psicologico, né per le responsabilità penali (che non ha chi non lavora con minori). Così credono che, per aggiungere alla misera retribuzione una mancia in più, si debba nella scuola lavorare di più. Ma i nostri, che non sono meri straordinari (né vengono pagati adeguatamente come tali, sottoposti come sono alla mannaia della retribuzione forfetaria), non aiutano la didattica: nel nostro specifico, fatalmente, più ore facciamo, più alunni abbiamo, meno rendiamo.Oltretutto, le regole cui è sottoposta la contrattazione dei pubblici impiegati (ma non degli universitari, magistrati, militari di carriera, etc.), sono semplicemente demenziali per la scuola. Derivano dal Decreto Legislativo 29/93, quello che dal primo contratto utile (1995) ci ha tolto il ruolo, definendoci (e riducendoci sotto il profilo giuridico) da allora in poi come un tempo il personale precario: “incaricati a tempo indeterminato”. I precari sono divenuti invece “incaricati a tempo determinato”, che sarebbe come dire loro: “lasciate ogni speranza, voi che non siete entrati!” Ma non parliamo solo di una precarizzazione di massa: il ruolo infatti, specifico dei docenti, era principalmente uno scudo a tutela dell’autonomia professionale.Lo stesso decreto impone l’eliminazione degli automatismi d’anzianità. Così, sempre dal ’95, con la complicità determinante dei firmatari di contratto, hanno introdotto i “gradoni” di sei e sette anni al posto degli scatti biennali, e presto (perché l’impone la legge) elimineranno anche questi. In tal modo ci siamo autofinanziati tutti i contratti sino ad oggi con la quota che ci venne tolta allora (i risparmi di spesa sono stati molto superiori all’esborso) e, se passa il DDL Aprea, il dirigente potrebbe decidere di farci permanere nel primo livello anche vita natural durante! Si sa qual è la scusa addotta: occorre far posto al “merito”. Ma persino nel Paese più meritocratico del pianeta, ovvero la Svizzera, dove non esistono scatti legati all’età per nessuna qualifica, gli automatismi vengono disposti solo per i docenti, e sono annuali. Perché ovunque nel mondo si sa bene che nella scuola l’esperienza è un valore: ad insegnare s’impara soprattutto insegnando!In ultimo, le norme cui viene sottoposto il calderone indistinto del “Pubblico Impiego”, impongono come tetto ai contratti il tasso d’inflazione programmata dal ministro dell’economia pro-tempore. Il caso di Tremonti è emblematico: fu al Tesoro anche al tempo del passaggio dalla lira all’euro, e quando l’ISTAT (che oggi qualcuno vorrebbe non a caso eliminare) e persino l’anfitrione di “Porta a Porta” indicavano un tasso d’incremento del costo della vita pari al 6%, Tremonti ci fece rinnovare il contratto con il 2% di (eufemistico) “aumento”. Tutti sanno poi che l’incremento reale al consumo fu almeno del 50% (il “paniere” ISTAT non è adeguato a seguire la vera fluttuazione dei prezzi), così perdemmo in un colpo solo la metà del nostro potere d’acquisto! Il quantum del nostro contratto lo fissa il datore di lavoro. Il meccanismo, di contratto in contratto, non può essere altro che a perdere. È come se gli eredi di Agnelli stabilissero unilateralmente gli incrementi stipendiali degli operai FIAT!Dai sindacalisti di mestiere sentirete spesso dire: “…tanto l’Unicobas non conta, perché non è alla trattativa”. Il problema è che chi ha accettato tali regole, ha distrutto la dimensione stessa del contratto di lavoro. Per la scuola poi la cosa è ancora più grave, perché noi, percependo la metà dei docenti coreani, siamo i meno retribuiti dell’Unione Europea: per raggiungere gli spagnoli occorrerebbero mille euro netti in più, per accostarci a svizzeri, francesi e tedeschi, almeno quattromilacinquecento!Ma il cambiamento dell’assetto contrattuale, ottenibile solo per via legislativa, non lo vuole nessun’altra sigla sindacale: eppure tutte, prendendosi gioco della categoria, dichiarano di voler “stipendi europei” (cosa impossibile se si resta sotto il tetto dell’inflazione programmata). Non lo vogliono certo i Confederali, artefici con lo SNALS dell’operazione di omologazione: furono loro a recidere il filo che legava lo stipendio degli insegnanti a quello dei magistrati, tuttora ancorati all’assetto stipendiale dei deputati. Lo SNALS, in più, ha puntato tutto sulla creazione della figura del dirigente, nella sua competizione con l’Associazione Nazionale Presidi. Ma non lo vogliono neppure COBAS e Gilda. I primi, molto ideologici, ci accusano anzi di essere “corporativi” per volerci sganciare dal mondo impiegatizio. Ma non si tratta di essere contro qualcuno, bensì di rimettere semplicemente le cose al loro posto, come ben sanno i COBAS delle ferrovie, che conoscono perfettamente la differenza che corre fra chi guida il treno e chi buca il biglietto. La Gilda chiede invece da sempre un contratto separato fra docenti ed ATA. La cosa, oltre ad essere offensiva per gli ATA, sarebbe assolutamente inutile per i docenti: la questione non sta nell’unitarietà o nella separazione contrattuale, bensì nella sfera normativa sotto la quale si colloca il contratto. La prova del nove che trattasi di mera operazione gattopardesca, è fornita proprio dalla Aprea, che ha inserito “pari pari” la piattaforma della Gilda nel suo disegno di legge: se ha passato il vaglio di Tremonti, vuol dire che è un’operazione a costo zero! La farsa degli scioperi: “il nemico peggiore marcia alla tua testa” (Brecth) Si sente spesso chiedere in categoria: “come mai è passata la “riforma” Gelmini, con tutti gli scioperi che abbiamo fatto nel 2008?” È una domanda pertinente, alla quale occorre fornire risposta adeguata. Fu l’Unicobas a proclamare il primo sciopero dello scorso anno: era venerdì 3 Ottobre. Si dà il caso che la “riforma” passò in prima istanza alla Camera, solo tre giorni dopo, esattamente il lunedì successivo. Che dire quindi dello sciopero general-generico indetto dal mese di giugno su altre questioni, quando ancora non si conosceva il piano della Gelmini, proclamato dai COBAS (con tutto il rispetto) insieme all’SDL dell’Alitalia ed alle RDB-CUB del pubblico impiego per il 17 Ottobre? Glielo aveva prescritto il medico? Erano forse obbligati a mantenerlo testardamente per quella data? Non era forse la scuola il settore più colpito dalla ristrutturazione governativa? Non avrebbero potuto convergere, almeno per la scuola, sulla data del 3 Ottobre? E cosa pensare poi di quello “unitario” del 30 Ottobre? Tutti sanno come è andata. La CGIL disse che doveva aspettare la CISL, questa attendeva la UIL, che a sua volta inseguiva lo SNALS e tutti insieme dicevano di correre dietro alla Gilda. Solo che furono capaci infine di collocarlo esattamente nel giorno successivo all’approvazione definitiva della “riforma” che, per essere precisi, avvenne in Senato proprio il 29 Ottobre!Anche noi scendemmo in piazza il 30 Ottobre (non potevamo certo correre il rischio di farci conteggiare fra i favorevoli, rischio che corsero i COBAS che riuscirono nel miracolo di non esserci né il 3, né il 30): all’astensione dal lavoro aderì il 65% della categoria (dati del Ministero), ma la scuola era finita fuori tempo massimo.Era giusto il nostro sciopero del 3 Ottobre, ed infatti portammo cinquemila persone sotto il Ministero. Ma l’opera di freno svolta dagli altri sindacati è stata decisiva (e deteriore). Le azioni di lotta vanno promosse a tempo debito, prima e non dopo l’approvazione dei provvedimenti legislativi! Ed in proposito, va ricordata anche la data del 12 Dicembre ’08, quando la CGIL proclamò un altro sciopero (ma “generale”, come spesso accade con la scuola a far da comparsa), perché il trend fu analogo. La sera prima (11 Dicembre), alle h. 19.00, presso Palazzo Chigi, presenti Gianni Letta, la Gelmini, Sacconi e Brunetta per il Governo, Bonanni e Scrima della CISL, Angeletti e Di Menna della UIL, il segretario nazionale SNALS, quello della Gilda e – buon ultimo – Rocco Pantaleo, il tessile che è stato posto a ricoprire la carica di segretario nazionale della Federazione Lavoratori della Conoscenza-CGIL, tutti si accordavano sulla riforma. Abbiamo pubblicato nel n.° 64 di questo giornale l’incontrovertibile verbale relativo: fu in quell’occasione che da casa CISL venne al Governo il suggerimento sul “maestro prevalente” (bastò che non lo chiamassero più “unico” per avere il via libera).Questa è la risposta alla domanda. Sta alla categoria capire, affinché la cosa non si ripeta col DDL Aprea! Intanto già sarebbe un grosso passo in avanti togliere a CGIL, CISL, UIL, SNAL e Gilda l’egemonia sulle iscrizioni. Quella legge sulla rappresentanza sindacale con la quale ho iniziato quest’articolo una (sola) cosa giusta la dice: non hanno valore contratti che non siano sottoscritti da sindacati che nel loro insieme non rappresentino almeno il 50% più uno dei sindacalizzati (e per il contratto, ampiamente scaduto, Tremonti ha stanziato una miseria, dispari persino rispetto all’indennità di vacanza contrattuale). Visto che non ci fanno più votare, l’unica strada che resta è esprimerci con l’adesione, decidendo finalmente cosa vogliamo fare “da grandi” come categoria. I sindacati contano in base agli iscritti che hanno: non consentiamo più che, controllando più della metà di quella minoranza del 35% che è sindacalizzata CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda decidano per noi. Facciamo della campagna per il tesseramento un grande strumento di lotta: ogni iscritto s’impegni a raccogliere altre adesioni!
Stefano d’Errico (Segretario nazionale dell’Unicobas Scuola)