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Uno. Nessuno, centomila… PER L’ASSEMBLEA DEL 29.11 SCUOLA: DOPO LO SCIOPERO DEL 13, UNA NECESSARIA RIFLESSIONE

In previsione della assemblea nazionale promossa dal Comitato nazionale a sostegno della LIP Scuola in programma a Roma per il prossimo 29 novembre, l’Unicobas ha predisposto un ampio documento che passa in rassegna gran parte dei problemi di cui in questo momento si dibatte nelle scuole.
Si parte da una analisi del modesto risultato dello sciopero nazionale del 13 novembre per passare alla questione del referendum per l’abrogazione dei pezzi più significativi della legge 107.


Ragionare sui dati reali: come sono andati lo sciopero (e la giornata) del 13 Novembre?

Al netto di taluni comunicati stampa (al solito) trionfalistici, secondo i dati ufficiali del Miur (di certo sottostimati, ma comunque indicativi), lo sciopero è stato onorevolmente minoritario: 18.536 docenti (2.45%); 4.747 ata (2.48%); 66 educatori (2.75%); 4 dirigenti (0.05%). Minoritario, ma non ‘nullo’, sia perché in ogni caso si tratta di 23.353 aderenti in carne ed ossa (2.43%), sia perché rappresenta comunque una Scuola ‘a due velocità’, con alcune regioni: Sardegna (9.24% di adesioni), Toscana (5.11%), Lazio (4.59%) e città: Cagliari (11.03%), Nuoro (9.77%), Livorno (9.24%), Pisa (8.75%), Sassari (7.43%), Lucca (7.38%), Bologna (6.51%), Grosseto (6.45%), Roma (5.90%), Oristano (5.78%), Trieste (5.49%), Venezia (4.56%), Firenze (4.71%), Genova (4.27%), affatto ‘pacificate’. Tanto per capire, a Roma, secondo le cifre ufficiali, hanno scioperato 3.693 fra docenti ed ata: più di 7 per ognuno dei 504 istituti ‘autonomi’.

Da qui una prima riflessione (negativa).

Visto che nella capitale si sono svolte due manifestazioni di docenti ed ata, e visto che questi, al netto degli studenti(ca. 700) – il cui arrivo da Porta S. Paolo ha consentito lo ‘sblocco’ con corteo del presidio sotto il Miur -, non erano più di 500 nel complesso(comprese seppur minime delegazioni di qualche altra città), s’evince che la stragrande maggioranza degli scioperanti non è venuta in piazza. Eppure è altresì del tutto evidente che qualora il movimento delle scuole avesse prodotto- con l’autorganizzazione …ché di altro i sindacati di base non vivono – un vero sforzo unitario e capillare (magari senza indugiare sul piano locale poiché, a parte Bologna, Milano e Napoli, s’è visto ben poco), avremmo potuto avere comunque per le strade di Roma almeno diecimila fra insegnanti ed ata.

L’unità è un valore,che in politica è pur sempre soggetto a condizioni: non può diventare un mito metafisico. L’estenuante richiamo costante alla presenza di ‘tutti tutti e tutte tutte’, ‘mantra’ ripetuto sino alla nausea persino quando risultava ben chiaro che i ‘sindacatoni’ avevano già ‘virato’ di bordo verso le passeggiate del ‘Sabato sera’ e verso la manfrina del ‘rinnovo’ dei contratti del pubblico impiego, con la sostanziale accettazione ‘senza colpo-ferire’ dei comitati di valutazione, ha inferto seri colpi a quel po’ di fiducia che la categoria aveva conquistato in se stessa. L’assenza del blocco dei firmatari di contratto(affatto ‘anomala’ nella storia recente) è stata così vissuta come una‘sconfitta a priori’, demotivando la partecipazione di piazza persino negli scioperanti,riducendo la giornata del 13 Novembre a momento ‘testimoniale’, meramente d’opinione (e non di partecipazione diretta, reale), invece che un nuovo inizio da cui ripartire. Il resto lo ha fatto quasi un mese di ostinata chiusura,politicamente autistica, dei Cobas di fronte a qualsiasi appello e disponibilità per un corteo unitario.

Il contrario di quanto successo ai tempi del ‘concorsone’ di Berlinguer, quando Gilda(dell’epoca), Cobas ed Unicobas riuscirono (e contro tutti i ‘pronta firma’) a vincere da soli una battaglia altrettanto difficile, con una norma già inserita nel contratto e ratificata sotto il profilo legislativo con pubblicazione su Gazzetta Ufficiale (esattamente come successo – Gilda assente, presente invece la minoranza Cgil – ai tempi della controriforma Moratti, per gli istituti di legge del ‘tutor’ e del ‘portfolio’). Altrettanto singolare è che, nonostante alcuni successi significativi abbiano dimostrato che si può incidere e talvolta vincere senza la ‘tutela’ dei ‘sindacatoni’, la nostra sia rimasta una categoria sostanzialmente paurosa e moderata, priva di memoria ed ignara delle proprie possibilità, con un tasso di sindacalizzazione minimo ed immutato(anche a fronte della provata possibilità reale di modificare radicalmente la propria rappresentanza), sotto il 35%. Complice il silenzio dei fautori dell’ ‘unità’ sulle vergogne di una legge sulla‘democrazia’ sindacale che tappa vergognosamente la bocca al sindacalismo di base ed impedisce alla scuola reale di sapere (una fra le tante) che le norme sulla rappresentanza sindacale sono truccate, perché impediscono ai ‘meno rappresentativi’ di cercare candidature nelle scuole per le elezioni Rsu, e laddove le si trova, vietano persino la presentazione del programma. Motivo certo non tanto recondito di tale divieto è che si taccia del fatto che basterebbe togliere ai ‘maggiormente rappresentativi’ quella maggioranza che possiedono sulla minoranza sindacalizzata, per impedir loro, per legge, la firma su qualsivoglia accordo o contratto, apposta da soli senza consultare coloro che pretendono di rappresentare. Una cosa che alla categoria costerebbe molto meno dei tanti scioperi che è poi costretta a fare contro i miserabili contratti-capestro che è abituata a subire. Questo è il rischio che corrono seriamente Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, se è vero (come è vero) che sono bastate le elezioni del 28 Aprile per il CSPI ed il relativo diritto di assemblea (ristretto di fatto a soli 15 giorni) per inusitati successi (sebbene a macchia di leopardo) di Cobas e Unicobas (quarto sindacato a Roma, con ‘dai’500 ai 700 voti in più di Cisl, Uil e Gilda).

Ma, tornando al caso di specie, come s’è potuto oggi regredire di tanto dopo un anno di lotte? Semplice:la ‘avanguardia’ ha sviluppato una ‘riflessione’ da retroguardia. Non s’è ben capito, non s’è voluto capire, ad esempio, che senza lo sciopero del 24 Aprile non ci sarebbe stato alcun ‘5 Maggio plurale’ (e lo stesso vale per il blocco degli scrutini). Come già detto, ‘non si sa’ neppure che senza la campagna elettorale per il CSPI, sciopero e manifestazione del 24 sarebbero stati molto meno rilevanti. Infine, proprio la diffusione geografica dello sciopero del 13 Novembre dimostra che non esistono ‘scorciatoie’: o si rafforza ed estende la strutturazione del sindacalismo di base, o si fa mera ‘filosofia’.

Seconda (positiva) riflessione.

L’adesione allo sciopero da parte del personale ata, che molti davano in forse, è stata pari (se non superiore) a quella dei docenti. Ciò depone bene rispetto alla tenuta dell’unità della categoria, in un momento nel quale la ‘leggenda metropolitana’ di turno vorrebbe che i docenti fossero i soli sotto attacco. La componente ata ha invece ben capito che così non è, e che la gerarchizzazione della scuola, con il combinato-disposto fra L.107/2015, legge Brunetta e (soprattutto, ormai) ‘riforma’ Madia, non fa sconti a nessuno, come dimostrano le vergognose trattative in corso all’Aran per lo scorporo degli amministrativi, dei tecnici e degli ausiliari dal comparto contrattuale Scuola, per la loro unificazione a livello di ‘bassa qualifica’con il mondo impiegatizio di Sanità, Enti Locali, etc. Vanno ricordati, invece, gli attacchi diretti, partiti in contemporanea alla L. 107, contro questa parte della categoria, con la mancata retribuzione delle seconde e terze ‘posizioni’economiche, con la non sostituibilità oggettiva, il taglio (mai recuperato) di 2.000 posti e l’accantonamento dei paurosi vuoti in organico non per la doverosa assunzione dei precari ata (a cominciare da quelli che hanno maturato 36 mesi di servizio), bensì per il personale delle province. Così che qualsiasi taglio disposto dalla politica, anche quando riguarda altri settori, viene scaricato sulla Scuola.

CHE FARE ?

Referendum

L’Assemblea nazionale di Domenica 29 Novembre è un passaggio nodale, divenuto ormai ‘l’ultima spiaggia’ della lotta contro l’applicazione della L. 107. Non dobbiamo rifare gli errori del passato. A Bologna, il 6 Settembre, per il ‘mito’ dell’ ‘unità’ e per essere (giustamente)il più inclusivi possibile, abbiamo evitato di discutere ed approvare una data o un percorso temporalmente delimitato per lo sciopero generale della scuola.Ne è risultata una vana attesa sino al 13 Novembre e la confusione auto-delegittimante fra il cd. ‘sciopero vero’ (quello di ‘tutti – tutte’) e l’inattività di un’inutile attesa (con relativa, naturale, disillusione di massa). Ora non possiamo fare lo stesso errore per quanto attiene alla definizione precisa delle aree di intervento relative ai quesiti referendari, né rispetto all’avvio della relativa campagna. Non sono sempre il ‘democraticismo’ (che si risolve troppo spesso in un’inutile attesa), né l’attendismo a rinforzare necessariamente un percorso di lotta: le assemblee si fanno per decidere, ed i gruppi, le organizzazioni sindacali, tutti sanno che occorre partecipare con un mandato preciso per poter deliberare. Presentarsi senza mandato, significa, in questi casi, giocare ‘a rimpiattino’ sulla sponda burocratica.

Per l’Unicobas, i quesiti referendari dovrebbero tendere a rimuovere, senza ‘se’ e senza ‘ma’, al di là di ogni remora e ‘complesso’,sia i vulnus allo specifico professionale della categoria (mirando all’abolizione del comitato di valutazione, della chiamata diretta, nonché al ripristino della titolarità di istituto), che quelli relativi agli studenti e dall’istituzione-scuola (‘quella’ alternanza scuola-lavoro e la defiscalizzazione a favore degli istituti paritari). Non è possibile sacrificare nessuno di questi aspetti, né in nome di presunte ‘real-politik’,né per le solite ‘autorimozioni’, né per la paura di essere (e presentarsi per)ciò che si è. La battaglia deve essere combattuta a viso aperto e, se è vero che va collegata alle altre questioni capitali (controriforma istituzionale, no‘sblocca-Italia’, no ‘jobs-act’), è ancor più vero che non solo la scuola deve avere uno proprio spazio di pari dignità, ma che questa dignità deve essere finalmente sostenuta apertamente dai fautori degli altri referendum, dagli altri corpi sociali e sindacali del pubblico e del privato (che lo scorso anno hanno perso l’occasione di una lotta unitaria per la Scuola), dalle organizzazioni della società civile e della politica che s’impegneranno nella lotta contro questo Governo e le sue ‘opposizioni’ di comodo. C’è la necessità di formare un Comitato referendario specifico ‘per e della’ Scuola, aperto a tutte le Associazioni del mondo dell’Istruzione, a tutti i Sindacati di categoria Confederali, affiancato da un Comitato di sostegno aperto a tutte le forze politiche – e non solo – che vorranno entrarvi. Non è certo il nostro caso, ma crediamo vada lasciata alle singole strutture aderenti la facoltà di impegnarsi anche solo sui quesiti relativi alla Scuola. Infine, i due Comitati Scuola dovranno raccordarsi con i Comitati che sorgeranno per gli altri quesiti referendari, sostenendo insieme (fatte salve le eventuali eccezioni di cui sopra) la generale raccolta delle firme.

Lo scontro sul ‘Jobs-act’ e sullo ‘sblocca-Italia’avrà le stesse scansioni temporali (e soprattutto politiche) del referendum scuola. Diverso sarà per la controriforma costituzionale:la vera battaglia si combatterà probabilmente ad Ottobre 2016 sul referendum confermativo. Ne discende che lo scontro referendario è solo eventuale, ed avverrà eventualmente solo se il Governo uscirà vincitore dal referendum confermativo (e se alla luce di questo malaugurato risultato, verrà dichiarato ‘ammissibile’). Ciò non toglie che è giusto lavorare da subito, in contemporanea anche su questo.

La battaglia legale correlata. Con il contratto nazionale decentrato sulla mobilità, il Governo cercherà di farsi cavare le castagne dal fuoco proprio dai ‘sindacatoni’. Il ‘caso Uil’.

Ci corre l’obbligo di guardare in faccia la realtà.Anche il ‘sindacato’ fa pedagogia sociale. La nostra è una categoria assuefatta alla ‘proposta di mercato’ avanzata nell’ultimo trentennio dalle organizzazioni’compatibili’, corresponsabili (ad esempio) dell’imposizione di una ‘autonomia’come autogestione della miseria e moltiplicatore di volgare competitività,mansioni burocratiche, supplenze e tappabuchismo. Spinta così a concepire un uso residuale, mai partecipativo e solo d’apparato del sindacato, ormai mero strumento ‘d’adattamento’ e gestione (sempre più al ribasso) dell’esistente: un’sindacato’ senza un progetto di scuola, ‘utile’ solo a ‘decodificare’, tramite i propri ‘scriba’ di mestiere, contratti sempre più (volutamente)indecifrabili. Talmente spinta a delegare ogni conoscenza sindacale ad un corpo esterno ‘confederale’ a matrice impiegatizia (e ad un contratto-fotocopia di quelli della cd. ‘pubblica amministrazione’), da non essere neppure più in grado di capire ‘in proprio’ se le ore di permesso vadano calcolate per anno scolastico o solare. Spinta ad abbandonare la cooperazione educativa per la competizione, ad abbandonare qualsiasi progetto di miglioramento, sia sullo specifico della qualità della didattica (tempo pieno, integrazione, lotta al minimalismo culturale ed ai diktat delle ‘competenze’ di matrice ‘sindacal-confindustriale’a danno delle conoscenze e dei saperi critici), che in quello relativo alla rivendicazione della dignità ed atipicità della funzione docente (periodi sabatici di aggiornamento, lavoro creativo non subordinato, collegialità decisionale, declinazione della libertà d’insegnamento e della professionalità, ruolo unico docente) a favore invece di un ruolo meramente esecutivo. Una categoria inquinata ormai per almeno il 30% da soggetti provenienti dai diplomifici privati che, grazie alla berlingueriana legge di ‘parità’ ha rubato il posto in graduatoria (e l’assunzione) ai precari che hanno operato nel sistema pubblico senza piegarsi alla schiavitù del lavoro nero o non retribuito e della discrezionalità degli ‘enti gestori’ in mano alle mafie. La maggior parte di costoro (per ‘formazione’) praticamente non conosce l’esercizio del diritto di sciopero, e non lo ha praticato neppure il 5 Maggio. Poi ci sono insegnanti (nel Paese delle stragi di stato e di stato-mafia), che in quella data hanno scioperato per la prima volta nella vita, i quali pensavano (o gli avevano fatto credere) che a fronte di questo atto inaudito ed inusuale, ‘così sovversivo ed impegnativo’, non solo sarebbe stata ritirata la ‘riforma’, ma sarebbe addirittura caduto il Governo… Una categoria alla quale è stata rubata la personalità, ogni riconoscimento di ‘appartenenza’, spinta a divenire un insieme di monadi umorali autoreferenziali, segnata dal ‘senso di colpa’introiettato con l’usuale giaculatoria del ‘troppe ferie /poco orario’ -riproposta persino dopo il sostanziale incremento dell’impegno lavorativo diretto invalso da 15 anni con la ‘autonomia’ -, indotto da quelle concezioni vetero operaiste (di matrice catto-stakanovista) e missionaristiche (a matrice catto-integralista) di recente riproposte, e non a caso, dal Papa in ogni omelìa. In questo marasma, assistiamo ancora a richiami verbosi e con pretese ‘radicali’,ovviamente senza costrutto sindacale, l’ultimo dei quali proviene dalla Calabria, regione nella quale il 13 Novembre il numero degli scioperanti ha rasentato il ridicolo di 278 unità, pari allo 0.80%. Naturalmente, nessun appello s’esprime invece sull’assurdo politico e giuridico dell’invito patente dei ‘sindacatoni’ (e non solo) ad ‘accomodarsi’ nei comitati di valutazione.Assistiamo al moltiplicarsi del frazionamento in piccoli gruppi senza capacità(né volontà) organizzativa che infine si sentono orfani di Cgil, Cisl, Uil & C., pietendo un loro (del tutto improbabile ed antistorico) ‘ritorno all’ovile’. Costoro, e quanti non si sono mossi il 13 Novembre perché non c’erano i ‘sindacatoni’, non si rendono conto che domandare una riconversione degli stessi (nati come apparato di mediazione e cinghia di trasmissione dei partiti) è come pretendere che la Chiesa faccia voto di laicità, o come pensare che il Corano sia un prodotto del secolo dei Lumi. Ecco cosa avviene nella scuola, quando invece non si tratta del molto più deleterio fiorire di gruppi di faccendieri (naturalmente pronti anche a vendersi al miglior ‘offerente’ sul mercato della politica, senza discriminanti neppure verso la Lega e quella destra ‘di governo’ che sino a ieri ci ha ‘regalato’ le controriforme Moratti, Gelmini e Brunetta), meri ricorsifici (più o meno ‘fai da te’) et similia.

In questa situazione la categoria s’avvia verso la prassi del contenzioso permanente (e, per quanto ci riguarda, senza eccezioni).Che almeno questa sia un ‘guerriglia’ preparata ed efficace! Non è compito del sindacato la pedissequa ratifica delle ‘Faq’ del Miur sulla presunta natura di collegio ‘imperfetto’ (contestate, sul punto, non solo dall’Unicobas, ma anche dalla Flc-Cgil) attribuito senza prudenza (né il minimo ausilio di giurisprudenza in materia) al comitato di valutazione, bensì quello di creare le condizioni per il massimo dello scontro legale possibile, affinché, pezzo dopo pezzo, la L. 107 venga demolita, rinviata alla Corte Costituzionale,delegittimata in sede di giudizio. Perciò ribadiamo la nostra posizione: i membri di quel comitato non vanno eletti! Non renderlo ‘collegio perfetto’:questo è l’unico modo per tentare di non farlo funzionare (e per poterne contestare con qualche possibilità di riuscita l’eventuale funzionamento ‘imperfetto’).Tutte le altre forme succedanee, se non s’è prima sperimentata la via della mozione del NO, al di là delle intenzioni, non possono che risolversi in meri cedimenti, compromessi al ribasso, ‘furbizie’ senza futuro.

Mobilità e titolarità

Così va strutturato anche lo scontro sui trasferimenti, contro le palesi disparità di trattamento imposte dalla legge(corollario della campagna referendaria), sia con riferimento al fatto inequivocabile che la L. 107 fa dei docenti gli unici lavoratori del settore pubblico (e di buona parte di quello privato) a non aver più un luogo di lavoro stabile (quando persino chi guida un mezzo pubblico è impiegato sempre sulla medesima ‘linea’), sia perché saranno gli unici anche all’interno dello stesso comparto Scuola a non aver più titolarità alcuna. Sia perché ‘contrappone’, con diritti diversi, gli assunti di categoria ‘C’ e quanti finiranno nella cd. rete territoriale a quelli delle altre fasi, sia perché crea disparità fra tutti costoro e chi era già stabilizzato. Infine, contrapponendo i neo assunti (ed i posti da riservare a concorso) al diritto al rientro nella provincia di residenza di quanti per anni non sono mai riusciti ad ottenerlo. Ma con un’avvertenza: la mobilità è materia di contratto nazionale decentrato, ed il ricorso individuale alla Magistratura ordinaria, come quello collettivo al Tribunale Amministrativo, avranno a che fare con circolari ed ordinanze ministeriali che riporteranno pedissequamente ciò che i sindacati ‘maggiormente rappresentativi’ avranno concordato con l’amministrazione, mettendo peraltro indubbio il diritto stesso di ricorrervi contro da parte di quelle sigle che avranno sottoscritto l’accordo sulla mobilità, ‘contitolari’ delle ‘regole’fissate con la controparte datoriale (e quindi delegittimati in giudizio). Pur animando il contenzioso come strumento comune per aggredire la legge da più parti, occorrerà evitare di cadere nella trappola del ‘divide et impera’.Emblematico è il ‘caso Uil’, sindacato che propone apertamente il mantenimento del diritto alla titolarità (ed alla mobilità ancora per la titolarità) SOLO per gli incaricati a tempo indeterminato ante-legem, intendendo sacrificare tutti i neo-assunti.

Assumere tutti i precari !

Altra cosa ancora è la principale lotta da condividere: quella per il diritto all’assunzione di quanti sono rimasti illegittimamente fuori dalla campagna di reclutamento avviata con la L. 107. Non solo si tratta di abilitati Tfa e Pas, che hanno investito la vita (e non solo) nella scuola, ma in generale di precari con 36 mesi di servizio(requisito per il quale gli spetterebbe il posto a tempo indeterminato) ai quali la L. 107 intenderebbe imporre invece di cambiare ‘mestiere’,escludendoli anche dalle supplenze e riservando loro (ma persino con strettoie inqualificabili) come unica via quella del prossimo concorso. In più, va sottolineata la vergogna relativa ai supplenti della scuola dell’Infanzia, di fatto assolutamente dimenticati, nonché il mancato posizionamento nelle graduatorie e la non stabilizzazione dei diplomati magistrali abilitati, come pretenderebbe invece una chiara sentenza del Consiglio di Stato.

Last, but non least: le leggi delega

La campagna contro la cd. ‘Buona sQuola’ è ancora tutta aperta sulle leggi delega, semplicemente perché devono ancora essere formalizzate e votate, e si devono moltiplicare precise iniziative specifiche.

Il sostegno

La prima sarà probabilmente quella sul sostegno,che l’Esecutivo intende medicalizzare e definitivamente destrutturare, ponendo fine, di fatto, all’integrazione così come l’abbiamo conosciuta ed applicata sinora. Questa ennesima vergogna dimostra in modo lampante quanto Renzi sia succube della politica restrittiva anti-welfare della UE, ‘senza se e senza ma’:una norma grazie alla quale l’Italia è all’avanguardia – come per la L. 180 -verrà stravolta ancora una volta per un’operazione di mero risparmio (e dequalificazione della scuola). La trasformazione dell’insegnante di sostegno in una sorta di ‘figura di sistema’ (non a caso già ‘ventilata’ a suo tempo da Luigi Berlinguer) ne ridurrà drasticamente la presenza: di contro l’obbligo di un corsetto farsa che intendono imporre agli insegnanti curricolari distruggerebbe tutto. Occorre disvelare alle Associazioni dei diversamente abili l’ipocrisia dell’operazione: se da una parte il Governo intende imporre ai docenti specializzati un assolutamente basso profilo infermieristico(anziché investire sui necessari presidi medici, ormai spariti dalle scuole),cercando così di captarne la benevolenza, dall’altra smantellerà progressivamente il generale rapporto 4 a 1, sino ad eliminare, con gradualità,persino il rapporto 1 a 1 per quelle patologie spesso impropriamente difese corporativisticamente (quasi si trattasse di ‘categorie protette’) a detrimento delle altre. Così,già ai tempi della L. 104, la Jervolino si divise fra l’accontentare l’attenzione giustamente richiesta dagli handicap conclamati e l’abbandono di intere fasce del disagio, a scapito delle diagnosi precoci, fondamentali nel settore. Anche Renzi li ‘accontenterà’, ma solo ‘a tempo’, e solo per l’ambito meramente custodialistico e medicale/medicalizzante, a detrimento di quello dell’integrazione propriamente detta, nonché dell’acquisizione delle conoscenze e delle competenze: un vero disastro. La campagna contro questa legge delega va combattuta come una battaglia di civiltà.

La Scuola dell’Infanzia

Il percorso 0 – 6 anni, tramite il quale il Governo intende ‘scorporare’ di fatto la Scuola dell’Infanzia dallo Stato, è un vero e proprio percorso a ritroso dalla Modernità al Medio Evo. Invece di risolvere l’handicap di un Paese nel quale questo segmento risulta minoritario rispetto a privati ed Enti Locali (ove vigono qualifiche inqualificabili), Renzi ed i suoi ‘consiliori ’hanno deciso di fare l’opposto. Anche ai tempi della ‘riforma’ Berlinguer, questo, che era l’unico passaggio degno di un paese avanzato decadde prima di giungere in aula: troppa la pressione degli enti gestori privati e confessionali! Su questo, insieme all’elevazione dell’obbligo uno principali dei cavalli di battaglia della Lip (e da 25 anni anche dell’Unicobas), ci giochiamo molto come Movimento: ci giochiamo la faccia (ed il credito acquisito sul piano della proposta, senza la quale si svilisce ogni protesta).

Gli Organi Collegiali

Questa accolta di Governo (con le sue finte opposizioni) non avrà pace sinché non avrà trasformato i Collegi dei Docenti in organismi meramente consultivi, i Consigli di Istituto in meri consigli d’ ‘amministrazione’aziendalistici presieduti dai dirigenti scolastici (e non più da un genitore),finché non avrà eliminato per legge ogni valore legale ai titoli di studio(unico punto del programma della Loggia P2 rimasto ancora inevaso).

La guerra non è finita. Anzi, è ancora lunga: se abbiamo perso una battaglia, non possiamo ne dobbiamo dichiararci sconfitti. Come si sa, chi lotta può perdere, ma chi non lotta ha già perso!

Lo stato confusionale della controparte. Per ora sulla mobilità non riescono ad andare avanti. Resoconto dell’incontro al Miur del 13 Novembre.

Non solo il Movimento segna il passo. Né le lotte sono state inutili. È del tutto evidente invece il marasma che alberga a Roma in Viale Trastevere. Lo slittamento a metà Gennaio 2016 dell’organico funzionale, la confusione, il problema retributivo e delle responsabilità individuali correlate, nonché l’incapacità ‘secca’ di trovare gli 8.400 membri di diritto dei comitati di ‘valutazione’ di nomina dell’Amministrazione (e il conseguente, tacito, rinvio nel 90% degli Istituti,delle prassi previste dalla L. 107 relativamente alla elezione di tale comitato– dovuto anche allo scontro determinatosi in molte situazioni), ne sono dimostrazione lampante.

Ma lo evidenziano anche le non-risposte che abbiamo sentito balbettare il 13 Novembre pomeriggio al Ministero dell’Istruzione quando, differentemente da quando successo la mattina, è stata ricevuta una delegazione composta dai rappresentanti delle quattro organizzazioni presenti al sit in: Unicobas, Adida, Mida e Cdp. Con noi la Senatrice Blundo, M5S, membro della Commissione cultura del Senato. Sono state esposte tutte le criticità (anche di livello anticostituzionale) contenute nella legge 107 e nella sua applicazione. Specifico poi il riferimento al precariato delle GI, al piano assunzioni ancora in atto, ai rischi connessi alla mobilità che interessa tutti i docenti attualmente in servizio, nessuno escluso. Problemi sollevati:

– esclusione illogica e non supportata da elementi normativi, se non quelli definiti politicamente, dei precari delle GI dal piano assunzioni;

– connessa questione della mancata applicazione delle sentenze in Italia, a cominciare dalle classi pollaio, per finire con l’aggiramento della sentenza della Corte Europea contro lo sfruttamento del precariato;

– criteri di valutazione (e ‘sbarramento’) per il concorso, di per sé inutile per docenti con comprovati titoli ed esperienza di servizio pluriennale;

– mancata trasparenza sui numeri relativi alla consistenza delle GI;

– mancanza di trasparenza sulla definizione dei numeri relativi ai posti messi a concorso;

– mancanza di trasparenza nella definizione dei piani B e C di assunzione.

– mancanza di trasparenza e di concretezza nella definizione degli ambiti territoriali, calderone anticostituzionale nel quale cadranno anche i docenti di ruolo che non potranno esercitare il loro diritto alla mobilità.

Nessuna richiesta, sebbene ascoltata con attenzione, ha trovato risposta, tranne la precisazione che è al vaglio del Miur la definizione di nuovi percorsi abilitanti ordinari. Senza negare che si sta parlando anche di un nuovo ciclo PAS, non è trapelata alcuna indicazione circa una eventuale attivazione. A questo proposito è stato ricordato dalla delegazione che la normativa europea è stata ben due volte disattesa, sia in relazione al riconoscimento della formazione professionale, che (come già detto) con rapporto allo sfruttamento del precariato.

Ecco una breve sintesi di alcune delle richieste:

– condivisione dei criteri di valutazione per il concorso;

– razionalità e trasparenza nella definizione dei posti messi a concorso, cosa già disattesa nel concorso precedente;

– abolizione immediata della scelta di costituire ambiti territoriali,che promettono un precariato generalizzato. ‘Ambiti’ contrari ai principi volti al miglioramento della qualità del sistema, a partire dalla continuità didattica;

– richiesta di nuovi Pas per i precari delle GI, ricordando la recente sentenza del CdS che ha definito illegittimo il parametro dei 540 gg. fissati dal precedente decreto;

– presa in carico da parte del Miur del problema degli abilitati Pas con riserva, confinati in un limbo immotivato, anche in ragione alla sentenza citata;

– urgente necessità di presa in carico della questione dei diplomati magistrali inseriti in Gae dalle recenti sentenze che a causa dei ritardi nelle procedure di ottemperanza da parte degli Uffici Scolastici hanno subito ulteriori danni che non tarderanno a determinare una spirale infinita di contenziosi.

Neppure alla elementare domanda su quale natura intendesse riconoscere il Miur ai posti dell’organico funzionale (se di diritto – quindi con la disponibilità dei posti per le assunzioni ed a concorso, come ora parrebbero orientati – o di fatto) in quella sede ci è stata fornita risposta.

Stefano d’Errico (segr.naz. Unicobas Scuola)