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COMUNICATO STAMPA 6.8.2014: DOPO il MASSACRO DEI DIRITTI del SINDACALISMO di BASE LA MADIA E I SINDACATI PRONTA-FIRMA ‘STERILIZZANO’ le RSU (ANCHE LE LORO)

MADIA: (NEL SILENZIO GENERALE) RESTANO I SINDACALISTI IN CARRIERA MA SI TAGLIANO LE ORE PER LE RSU. DOPO AVER MASSACRATO IL SINDACALISMO DI BASE, VOGLIONO ‘STERILIZZARE’ ANCHE LE COMPONENTI ELETTIVE

Il Governo Renzi si è caratterizzato per l’uso reiterato e spregiudicato della politica dell’annuncio: così ha saputo parlare alla ‘pancia’ dell’italiano medio, sfruttandone al massimo la propensione demagogica.


Gli 80 euro girati ad alcuni settori della popolazione ne rappresentano sicuramente l’esempio più eclatante, e gran peso hanno avuto nella schiacciante vittoria dell’ex sindaco di Firenze alle recenti elezioni europee e nel conseguente rafforzamento della sua leadership in campo politico e nell’immaginario collettivo.

Anche il Decreto Madia, annunciato come riforma ‘epocale’ della PA, nasconde – dietro qualche specchietto per le allodole come la ventilata soluzione della vergogna relativa a ‘quota 96’, subito cancellata – meri aggiustamenti strutturali nella direzione di ulteriori tagli, precarizzazione e peggioramento delle condizioni dei lavoratori del pubblico impiego. Manca, come al solito, qualsiasi attacco ai privilegi.

Rimandiamo ad altre occasioni un commento articolato del provvedimento per appuntare l’attenzione su quello che è stato uno dei punti più propagandati, nella campagna massmediatica, dal duo Renzi-Madia: il (presunto) dimezzamento dei permessi sindacali sui posti di lavoro. In realtà stanno soprattutto mettendo a regime i mai attuati tagli disposti addirittura dai tempi di Prodi, rimasti sulla carta grazie alla continua prassi di do ut des fra casta politica e casta sindacale ‘pronta-firma’.

In una situazione di crisi economica e complessiva (anche della ‘rappresentanza’) qual è l’attuale, il Governo ha avuto gioco facile a far passare l’idea che l’attività sindacale dei delegati dei “fannulloni del Pubblico Impiego” peserebbe enormemente sui cittadini e sui servizi pubblici ed ‘agire’ di conseguenza. Come detto, la manovra non nasce oggi. Quello che invece occorre chiedersi è: come mai le decisioni governative hanno SEMPRE trovato l’appoggio delle principali organizzazioni sindacali (le uniche a beneficiare di comandi, distacchi e permessi sindacali) ?

Dalla prima metà degli anni ’90 i governi Amato e Ciampi ridussero drasticamente le agibilità sindacali esistenti nel pubblico impiego, ma CGIL, CISL, UIL, UGL e CONFSAL (in testa) scelsero di concordare la possibilità di mantenere l’istituto del distacco sindacale (prerogativa che consente al sindacalista prescelto e ‘nominato’ dall’organizzazione, e non dai colleghi di lavoro, di uscire dal ciclo produttivo e conservare il posto continuando a ricevere lo stipendio dalla propria Amministrazione). In sostanza, s’è sempre operata solo una forte riduzione dei permessi per i rappresentanti rimasti sui posti di lavoro.

Questo scellerato baratto continua. Meno di dieci anni dopo, furono ancora CGIL, CILS, UIL & C., col Contratto Collettivo Nazionale Quadro sulle prerogative sindacali del 7 agosto 1998, a stabilire che il complessivo contingente dei permessi sindacali utilizzati nei posti di lavoro fosse ridotto del 10%, trasformando questa aliquota in altri 289 distacchi per le organizzazioni ‘pronta-firma’. Per di più, solo 30 degli 81 minuti residui per dipendente venivano assegnati alle RSU elette, mentre 51 andavano ai ‘delegati’ nominati dalle organizzazioni sindacali monopoliste: firmò anche l’RdB-CUB, antesignana dell’attuale USB!

Anche il CCNQ del 9 ottobre 2009 (secondo governo Berlusconi) diede la possibilità alle singole organizzazioni sindacali di trasformare ulteriori permessi per i delegati in distacchi per sindacalisti a tempo pieno, e nessuno fra gli aventi diritto a firmare (Confederali ed ‘autonomi’, nonché l’USB) si fece scappare l’albero della cuccagna. In sostanza, dall’iniziale monte-ore complessivo per unità produttiva calcolato moltiplicando 90 minuti per il numero dei dipendenti, si arrivò ad una drastica riduzione in tutti comparti. Nella scuola si giunse a 49 minuti e 30 secondi a dipendente: ma di questi solo 25 minuti e 30 secondi vennero destinati alle RSU elette.

Con l’ultimo accordo, a partire dal primo Settembre verrà operato un ulteriore taglio: le RSU di ogni singola scuola, nel loro complesso, avranno a disposizione per l’attività sindacale un monte ore calcolato solo tramite il coefficiente di 12 minuti e 45 secondi moltiplicato per il numero dei dipendenti: appena un quinto di quanto prevede tutt’ora lo Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970). I sindacati concertativi hanno fatto ‘piazza pulita’, ed ora ‘s’apprestano a far sparire anche le loro stesse rappresentanze elettive. E questo avviene dopo che hanno impedito ai precari di candidarsi e consentito solo agli incaricati annuali di votare.

Sino al ’97 le norme richiedevano alle organizzazioni sindacali il raggiungimento della soglia del 5% dei voti validi nelle elezioni di categoria (Consigli della Pubblica Istruzione, nazionale e provinciali, per la Scuola). Nel periodo intercorrente fra un’elezione e l’altra il calcolo veniva, con un tetto analogo, operato sui sindacalizzati. Il raggiungimento del 5% su lista nazionale significava per le organizzazioni di comparto poter sedere al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di categoria e per le contrattazioni decentrate di primo livello; una soglia analoga su lista provinciale garantiva la partecipazione alle trattative decentrate.

La legge “Bassanini” del Novembre ’97 ha stravolto ogni regola. Innanzitutto impedisce la presentazione di liste nazionali, imponendo unicamente liste scuola per scuola; delegando poi alle OOSS concertative la scelta di data e ‘rito’. Così, nella Scuola (10.000 sedi centrali), CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda impongono la presentazione di una lista per istituto, e meno liste si presentano, meno voti si possono raccogliere.

Vengono perciò elette “Rappresentanze Sindacali Unitarie” unicamente nei luoghi di lavoro, titolate a trattare solo sulla falsa riga di contratti nazionali e provinciali decisi dai rappresentanti nominati dalle burocrazie sindacali senza alcun controllo elettivo. Inoltre alle OOSS “non rappresentative” è interdetta persino la convocazione di assemblee in orario di servizio, di modo che non possano trovare candidati e sottoscrittori necessari a presentare le liste, né presentare il proprio programma qualora li trovino. Quando vengono elette, alle nostre RSU s’estende tale divieto.

Ma non è tutto. Per favorire i sindacati pronta-firma, è stato inventata anche la cosiddetta “media”: il 5% non viene infatti calcolato più sui voti o sugli iscritti, ma va raggiunto fra i due parametri. In tal modo la soglia sul dato elettorale sale automaticamente, dovendo i sindacati nuovi compensare la ovvia carenza di iscritti a fronte di quanti esistono da almeno quarant’anni. Significativo è che il 10% dei sindacalizzati (30%) equivale a meno della metà del 10% sui votanti (70%), utile ad un sindacato di nuova formazione. In tal modo, Confederali ed ‘autonomi’, che in decenni si sono garantiti comunque il 10% dei sindacalizzati, resterebbero “rappresentativi” anche a voti zero!

I sindacati che non raggiungono tali folli parametri vengono privati di ogni diritto e spazzati via persino dal piano decentrato, anche se, come l’Unicobas Scuola, possedevano comunque seggi ed il 10% dei voti nelle elezioni per il Consiglio Scolastico Provinciale di Roma (prima che venisse abolito con la ‘autonomia’), nonché il 5% delle deleghe nell’ambito di numerose province e regioni. Un sindacato può anche avere il 60% delle deleghe su base provinciale e non essere ammesso a nessuna trattativa decentrata. In Italia si dibatte molto di federalismo, ma il federalismo è stato espunto dalla democrazia del lavoro

Renzi continua vestire i panni ‘dell’alfiere del rinnovamento’ e lascia intendere di voler colpire in modo radicale la casta sindacale. Invece gli apparati tradizionali continueranno a beneficiare di migliaia di distacchi pagati dai cittadini, nonché di risorse economiche consistenti e benefit governativi (basti pensare ai 15 euro versati loro dallo stato per ogni pratica CAF evasa), continueranno ad assumere ruoli direttivi in Enti Bilaterali ed a cogestire i Fondi-pensione (mentre la previdenza pubblica viene via via smantellata). Ne faranno le spese le RSU elette direttamente sui posti di lavoro, che vedranno ancor più eroso il già magro monte ore annuo di permessi per svolgere la propria attività quali colleghi fra i colleghi, colleghi verso i quali (il condizionale è d’obbligo) dovrebbe esercitarsi la tutela sindacale. Con grande soddisfazione dei ‘Dirigenti-manager’.

L’Unicobas Scuola continuerà a denunciare le operazioni smaccatamente demagogiche, a smascherare le organizzazioni sindacali sempre pronte a svendere diritti in cambio di privilegi, a favorire la crescita di un reale sindacalismo di base, libertario, autogestionario e scevro da ipoteche di casta e di partito.

Stefano d’Errico (Segretario nazionale Unicobas)

Stefano Lonzar (dell’Esecutivo Nazionale dell’Unicobas)