Cib Unicobas

sito della confederazione italiana di base CIB Unicobas, sindacato di base, libertario ed autogestionario

Contro la regionalizzazione dell’istruzione e delle scuole

Riflessioni sul federalismo scolastico, ovvero “il sonno della ragione partorisce mostri” (F. Goya, 1797)

Nell’agghiacciante panorama politico della storia recente della Repubblica italiana, questa XVI legislatura si caratterizza per la particolare ferocia con cui il Governo si è accanito con tagli draconiani su scuola e università statali, tali da mettere fortemente in crisi non solo l’efficacia in termini di istruzione e formazione delle nuove generazioni ma, direi, oggi, con l’adempimento conclusivo del piano programmatico triennale predisposto con la legge finanziaria dell’agosto del 2008, la vera e propria sopravvivenza materiale di una fondamentale istituzione sancita dalla nostra carta costituzionale. Interventi diretti e indiretti (dall’aumento progressivo del numero degli alunni per classe, al ritorno alla maestra unica e alla forte riduzione del tempo pieno nella scuola primaria, all’eliminazione di ore e materie curricolari nella scuola secondaria di I e II grado, alla riduzione dei finanziamenti delle attività didattiche ordinarie e di recupero, alla privatizzazione dell’università, al blocco dei contratti di lavoro, alla proroga degli scatti d’anzianità, alla trasformazione del trattamento di fine servizio, fino alla riforma Brunetta, all’inasprimento delle sanzioni e all’esercizio anche preventivo della censura, al mancato rinnovo delle RSU, all’accentramento della contrattazione integrativa) che si lasciano dietro decine di migliaia di posti di lavoro forse irrimediabilmente perduti e una classe di lavoratori, docenti e non docenti, prostrata da sacrifici economici e da una campagna denigratoria senza precedenti che ha raggiunto il suo apice nei giorni scorsi, quando gli insegnanti sono stati ridicolmente accusati di scarsa moralità e disonestà intellettuale da chi, con questo e su questo, ha costruito il suo squallido e patetico destino personale e politico. Interventi diretti e indiretti che, soprattutto, si lasciano dietro bambini e adolescenti sempre più stipati in aule vecchie, fatiscenti e malsicure, dove fa sempre troppo freddo d’inverno e troppo caldo d’estate, dove le porte non si chiudono, l’illuminazione è inadeguata, i pavimenti bagnati per le infiltrazioni d’acqua piovana e coperti fortunosamente dai cartoni per non scivolare, i controsoffitti rappezzati, talvolta pericolanti… Bambini e adolescenti buttati in un mare dove o nuoti o affoghi perché il riordino dei cicli impone di imparare tutto in poche ore o senza ore perché c’è la legge che prescrive l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione e c’è la beffa della netta diminuzione delle ore di storia, giuridicamente nonché epistemologicamente preposte ad accoglierlo, perché c’è la legge che prescrive i corsi di recupero ma non ci sono i soldi per realizzarli, perché c’è la legge che istituisce percorsi integrativi per gli stranieri o per i disabili ma non vengono assunti abbastanza insegnanti di sostegno né si possono pianificare corsi di italiano L2, perché c’è la legge sulla sicurezza ma più del 50 % degli edifici scolastici italiani, costruiti tra gli anni ’40 e ‘70, non ha i requisiti minimi e avrebbe bisogno di interventi immediati che l’amministrazione centrale e gli enti locali non hanno i soldi per finanziare, perché c’è la legge sul diritto allo studio ma a comuni, province e regioni vengono progressivamente decurtati i fondi per garantirlo. Ma questa XVI legislatura si caratterizza non solo per la qualità dei provvedimenti finanziari e legislativi con cui si sono alimentate le controriforme che stanno affossando l’intero sistema dell’istruzione pubblica statale, ma anche per la quantità degli interventi giuridico-normativi assolutamente bipartisan che vorrebbero ridisegnarne il nuovo profilo, trasformandola da istituzione a servizio, variamente declinato in virtù di presunti bisogni formativi locali, di vocazioni territorialmente connotate. La scuola come destino, dunque, o meglio, come predestinazione. All’applicazione di principi neoliberisti, privatistici e aziendalisti all’impianto costituzionale della scuola della Repubblica si ispira fin dalla prima stesura il DDL Aprea del maggio 2008, che propone nuove norme di governo delle istituzioni scolastiche sia amministrative che didattiche, un nuovo stato giuridico dei docenti e nuove modalità di formazione iniziale e di reclutamento. Prefigurando, nel preambolo, la necessità di una maggiore leadership educativa da attribuire al dirigente, e del riconoscimento dell’azione pubblica degli enti privati “più vicini ai cittadini”, il DDL 953 propone, nell’ordine, un governo misto, pubblico-privato, delle istituzioni scolastiche; la trasformazione delle scuole in fondazioni; il Consiglio dell’istituzione (già Consiglio di amministrazione nella prima stesura del DDL) con esperti esterni scelti in ambito educativo, tecnico o gestionale, come principale organo di governo dell’istituzione scolastica; la disarticolazione del Collegio dei docenti in dipartimenti disciplinari presieduti (non coordinati) da un docente; la costituzione di nuclei di valutazione con membri esterni da considerarsi come indicatori per l’elaborazione del piano dell’offerta formativa e del programma annuale delle attività, attualmente in capo agli organi collegiali; la decentralizzazione alle regioni e agli enti locali di beni e risorse finanziarie, umane e strumentali; l’allestimento di albi regionali vincolanti; l’introduzione della flessibilità nell’articolazione della professione docente. Contemporaneamente, tra il giugno e l’agosto del 2008, la deputata del Partito Democratico Letizia De Torre e il senatore leghista Pittoni presentano i loro rispettivi disegni di legge. La prima proposta disciplina il governo partecipato della scuola dell’autonomia, ovvero mette mano alla tradizionale fisionomia degli organi collegiali e alle forme di rappresentatività collettiva che, oggi più che mai, garantiscono la tenuta della scuola statale. Seguendo il filo delle occorrenze lessicali dislocate nel testo (comunità, patto, autonomia, autodeterminazione) che declinano la dimensione concettuale e politica in cui il DDL si inscrive, troviamo all’art. 1 la proposta dell’elaborazione di uno statuto per ogni singola istituzione scolastica, all’art. 4 la creazione del Consiglio dell’istituzione scolastica con compiti di indirizzo, programmazione e gestione, composto anche da esterni appartenenti al mondo economico, del terzo settore e del lavoro, all’art. 5 la definizione di organi di valutazione e autovalutazione ai fini della certificazione di qualità. Attraverso un uso improprio del principio dell’autodeterminazione come strumento di costruzione identitaria, la proposta del PD spinge l’autonomia funzionale verso una inaccettabile frammentazione del sistema, destinato a diventare espressione locale culturalmente autoreferenziale, con l’aggravio delle quote riservate alla flessibilità e al curricolo che, con le leggi Gelmini, arrivano a punte del 40% negli istituti professionali, fino a ben più esasperate forme di particolarismo (l’esperienza leghista della scuola di Adro insegna). Il DDL Pittoni, evidentemente ignaro dell’esistenza di un trattato che garantisce la libera circolazione sul territorio dell’unione europea, propone nuove norme per il reclutamento regionale del personale docente attraverso l’istituzione di distinti albi regionali con il vincolo della residenza ma accentua la sua matrice rigidamente censoria e segregazionista con l’accesso all’albo subordinato a un test di valutazione, somministrato da un Comitato regionale di valutazione, la cui composizione si demanda successivamente al titolare del MIUR, che esamina e giudica aspettative e obiettivi dei docenti, la conoscenza delle proprie responsabilità future all’interno del sistema istruzione, nonchè l’influenza che il sistema valoriale può avere sull’apprendimento degli studenti, influenzando il loro sviluppo fisico, intellettuale, linguistico. Una valutazione morale della persona, dunque, e nessun riferimento a conoscenze disciplinari, esperienze professionali, titoli di studio. Anche il concorso, sempre squisitamente regionale, cui possono accedere solo gli iscritti all’albo, con una quota minima di partecipazione interregionale, e naturalmente si intende regioni limitrofe, vanta come sua ratio la selezione per merito: si prescinde dai voti ottenuti ai titoli, recita il DDL, dando l’idoneità al concorso sulla base del voto ottenuto alla prova orale d’esame e si arriva ad affermare che questo è un meccanismo libero da condizionamenti! Ed infine massima flessibilità contrattuale: tre anni a tempo determinato come docente ricercatore poi assunzione definitiva come docente esperto ma sempre soggetto a retrocessione da parte del Comitato regionale di valutazione. Finito su un binario morto per questioni tutte interne alle dinamiche e ai rapporti di forza del centrodestra, in particolare all’avversione personale della Lega, come si vede parti significative del DDL Aprea non esitano a germogliare altrove. La proposta di legge Goisis, presentata alla Camera dei Deputati nel marzo scorso, recepisce pienamente le diverse istanze aziendaliste, decentraliste e federaliste disseminate tra le varie proposte del centrodestra e del centrosinistra, attribuendo la necessità e, addirittura, l’urgenza del federalismo scolastico al nuovo assetto costituzionale italiano scaturito dalla famigerata riforma del titolo V della Costituzione operata nel 2001 dal centrosinistra, che, assegnando allo Stato l’indicazione delle sole Norme generali sull’istruzione e dei Livelli essenziali delle prestazioni e lasciando alle Regioni tutta la legislazione concorrente, oltre ad aver già alimentato una serie di variabili fortemente disgregatorie, oggi legittima, di fatto, la proposta di nuovi riparti delle competenze tra Stato e autonomie territoriali in materia di istruzione, e autorizza addirittura l’ipotesi di un trasferimento alle regioni dell’amministrazione di tutto il sistema dell’istruzione, senza più distinzioni di sorta, e genera ragionevolissimi timori in ragione delle variazioni contributive e fiscali di stampo federalistico ormai in dirittura d’arrivo. Spingendosi ai limiti dell’anticostituzionalità, il DDL Goisis propone il superamento dell’equazione scuola uguale Stato e, negandone il carattere istituzionale, la ridefinisce come un servizio, che significa, cito testualmente, provvedere, organizzare, erogare prestazioni, rilevare e soddisfare bisogni. E ancora, il superamento dell’equazione docente uguale personale statale, attraverso il riconoscimento della dipendenza organica del personale docente, dirigente e ATA alle Regioni, la devoluzione alle Regioni dei contributi di funzionamento per le scuole ma anche la previsione di uno specifico potere delle Regioni nella contrattazione sindacale e l’attivazione di autonomi livelli di contrattazione collettiva regionale. Ma accanto alla proposta di decentramento giuridico e finanziario, nonché burocratico con la creazione di un centro servizi amministrativi per la comunità scolastica territoriale preposto alle stesse funzioni degli attuali uffici scolastici regionali e provinciali, ecco che si materializza anche qui l’insidia della privatizzazione, già spacciata nel DDL Aprea come presunto desiderio delle famiglie italiane, che anelerebbero a un regime misto pubblico-privato. Anche in questo caso, come già per la modifica del titolo V della Costituzione, una legge del centrosinistra, quella sull’autonomia (Bassanini 1997), si è drammaticamente rivelata un cavallo di Troia. Nell’elenco delle entrate dell’istituzione, attraverso le quali le scuole realizzano la piena autonomia finanziaria e amministrativa, ben 3 dei 5 finanziamenti previsti sono di natura privatistica: 1) contributi di istituzioni, imprese o privati, ivi compresi i versamenti degli studenti e delle famigli; 2) i proventi derivanti da convenzioni o contratti con soggetti esterni; 3) qualsiasi altra oblazione, provento o erogazione liberale (ricordate? È il decreto Bersani del 2007, che introduceva quella tassa occulta che ci ostiniamo ipocritamente a chiamare contributo scolastico volontario!). Dalla scuola della Repubblica alla scuola del territorio, dunque, un territorio inteso come proprietà privata dei soli abitanti autoctoni e non come luogo di incontro e di scambio; un territorio chiuso, ostile, egoista, con una scuola che esprime e difende gli interessi delle lobby locali e viola i principi di solidarietà, unità e indivisibilità sanciti come immodificabili dai nostri padri costituenti. Noi non possiamo accettare tutto questo. La scuola può vivere un rapporto virtuoso con il territorio solo se ha l’autonomia economica garantita da regolari e cospicui finanziamenti statali e investimenti adeguati sulle strutture e sulle infrastrutture, sulla formazione iniziale e in itinere degli insegnanti, sulla dotazione organica del personale docente e non docente titolare e supplente, sul funzionamento didattico e amministrativo e, soprattutto, su una ricchezza qualitativa e quantitativa dell’offerta formativa non facoltativamente e discrezionalmente promossa al Nord e non al Sud, in un quartiere e non in un altro. Investimenti allineati alla media europea, che garantiscano l’uguaglianza e le pari opportunità promosse dall’art. 3 della nostra Costituzione e il superamento degli ostacoli che impediscono l’esercizio di una cittadinanza attiva, inclusiva, partecipativa, laica e democratica, oggi assolutamente irrinunciabile. 

Anna AngelucciCoordinamento scuole secondarie di Roma

Roma, 11 marzo 2011