di Stefano Lonzar
Uno studente diciottenne del CFP dell’Istituto Salesiani Don Bosco Bearzi di Udine, frequentante il quarto anno nel settore della meccanica industriale, è morto durante l’ultimo giorno di tirocinio presso un’azienda metalmeccanica. Durante un lavoro di carpenteria metallica, una putrella (una trave d’acciaio) gli è caduta addosso uccidendolo sul colpo in un capannone della Burimec, azienda alle porte del capoluogo friulano.Non si tratta, quindi, come si è scritto da più parti di uno studente partecipante ad un PCTO, la vecchia Alternanza Scuola-Lavoro di renziana memoria, ma la sostanza del dramma non cambia.
Un’altra vittima si aggiunge alla lunga lista di operai sacrificati sull’altare della produttività e del più becero sfruttamento padronale; 1404, nel 2021, tra uomini e donne che usciti di casa al mattino per andare a lavorare non vi hanno più fatto ritorno. E soltanto ieri altri tre, tra cui il giovane Lorenzo.
Al sistema produttivo attuale del nostro paese non basta avere modificato in peggio l’articolo 18, aver ridotto le tutele e i diritti di chi lavora, avere le più basse retribuzioni dell’Europa occidentale e il più basso numero di laureati, aver reso il lavoro sempre più precario, non un diritto per tutti, ma un premio da concedere a chi accetta questo sistema di sfruttamento senza freni. Al sistema Paese occorre che anche gli studenti vadano a lavorare nelle aziende come forza-lavoro a costo zero, spessissimo in condizioni che non garantiscono la sicurezza e l’incolumità di chi vi lavora, per poter essere competitivo a livello internazionale e confermare l’attuale “miracolo italiano”, testimoniato dal prodigioso aumento del Pil, che tanto onore e lustro sta dando all’esecutivo a guida Draghi.
Ipocrita chi adesso piange: chi ha voluto questa legge che fa uscire gli studenti dalle scuole e li manda a lavorare, istituendo lo sfruttamento mascherato da formazione; chi, come i sindacati concertativi fa finta di criticare questo sistema, ma in realtà lo sostiene; chi, e nel mondo della scuola sono in molti, in questi anni ha accettato, per timore o peggio per interesse, che questa venisse distrutta, trasformandola in scuola-azienda, in luogo di mero addestramento per gli studenti ma anche per chi ci lavora.
Al posto del pensiero critico e della conoscenza dei diritti, della storia delle lotte per l’affermazione dei diritti e dell’uguaglianza sociale, della comprensione dei rapporti di forza nella società, si è affermata una pedagogia sociale che insegna ad accettare ad essere sfruttati, a praticare la mansuetudine piuttosto che la disobbedienza, a rimanere ignoranti per essere ricattabili e poter partecipare alla barbarie quotidiana della nostra società.
Tutto ciò non è più accettabile.
Per l’esecutivo nazionale dell’Unicobas
Stefano Lonzar