Da oggi, 9 aprile 2020, data di entrata in vigore del Decreto, inizia una battaglia a suon atti di rimostranza, diffide e ricorsi al giudice del lavoro per far rispettare i diritti dei lavoratori.
Con il decreto legge dell’8 Aprile 2020, si precisa che il personale docente, durante la sospensione delle attività didattiche per l’emergenza Coronavirus, “assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione.” Si dice inoltre che “Le prestazioni lavorative e gli adempimenti connessi dei dirigenti scolastici nonché del personale scolastico, come determinati dal quadro contrattuale e normativo vigente, fermo quanto stabilito al primo periodo e all’art. 87 del D.L. 17/3/2020 n° 18, possono svolgersi nelle modalità del lavoro agile anche attraverso apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici, per contenere ogni diffusione del contagio”. Il “primo periodo” è quello tramite il quale il governo pretenderebbe d’imporre l’obbligatorietà della Dad.
Questo comma dell’art. 2 volutamente ambiguo si può prestare a numerose e diverse interpretazioni ma due cose sono certe:
1. la didattica a distanza in qualche modo va fatta (ma non si dice come), i docenti la devono assicurare con costi e rischi (per la salute o per eventuali denunce o problemi di privacy) a carico loro.
2. Si cerca di introdurre per tutto il personale della scuola (Dirigenti, docenti e personale ATA) il lavoro agile. Ma (sia per il settore pubblico che privato) il Lavoro agile deve essere richiesto ed accettato dal lavoratore e comporta una serie di regole e precise garanzie (e si svolge sempre, almeno annualmente, da casa) che non sono per nulla tenute in considerazione dal Decreto.
Questa norma sembra risolvere il dilemma in atto sulla obbligatorietà della didattica a distanza ma manca di contenuto e presenta notevoli vizi giuridici, violando numerosi articoli della Costituzione e non solo di essa (leggi statuto dei lavoratori, codice civile, etc.).
Ma procediamo con ordine ed analizziamo una questione per volta:
1. si vuol rendere obbligatoria la didattica a distanza ma (in modo furbastro) non si definisce questa “Dad”cosa sia, quale l’orario di lavoro, quali le mansioni, etc., e non v’è nessun supporto economico. Questa è una palese violazione dell’art. 36 della Costituzione (retribuzione proporzionata all’orario di lavoro), nonché una violazione dell’art. 32 della stessa (tutela della salute) e di tutta la normativa contrattuale in vigore, visto che per i docenti invece non è previsto il lavoro a distanza. Forse chi ha scritto il decreto pensa che la Dad sia già normata dalla note di Max Bruschi? Pensa male visto che quelle note non hanno alcun valore normativo e sono solo delle indicazioni molto generiche.
2. Non si definisce neanche chi deve fornire e approntare tutta la strumentazione necessaria – si parla semplicemente di quella che sarebbe “a disposizione”-, e chi deve sostenerne tutti gli oneri di funzionamento. Di fatto tutti gli oneri verranno scaricati sul lavoratore (vedi comma 2, art. 87, D.L. 18/2020, da cui si evince anche che il datore di lavoro si esenta dalla responsabilità della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici usati). In sostanza si dice che, se tali strumenti coincidono con la strumentazione privata del docente, non si applicano neppure le tutele previste dalla legge in materia di sicurezza sul lavoro.
Tutto questo dovrebbe essere contrattualizzato, come prevede il decreto legislativo 165/2001 che assegna alla contrattazione collettiva la regolazione e la definizione della prestazione. E cioè la disciplina sostanziale e procedurale dell’adempimento: cosa deve fare il lavoratore, come deve farlo e per quanto tempo. Questa contrattazione però non esiste e visto il comportamento antisindacale della Ministra e del governo non c’è da meravigliarsi.
Ridicola quindi è l’affermazione che le prestazioni lavorative di tutto il personale scolastico sono determinate “dal quadro contrattuale e normativo vigente”. Questo tra l’altro vale anche per il personale ATA, perché il CCNL 2006-2009 prevede il telelavoro ma non il lavoro agile che è nato dopo ed è stato normato dalla legge 81/2017, mai contrattualizzato nella scuola.
Riassumendo, questo pastrocchio che chiamano Decreto Legge dice che la didattica a distanza va fatta, sebbene non si sappia bene che cosa sia, come debba essere svolta e per quanto tempo.
I docenti dovrebbero svolgerla utilizzando il proprio pc e il proprio collegamento a internet privato e con costi a loro carico. E se il pc o il collegamento a internet non funzionano o, peggio, se per il loro utilizzo l’insegnante dovesse ricavarne problemi di salute e infortuni, la responsabilità e gli oneri rimarranno totalmente a carico del docente. Idem dicasi per qualsiasi vulnus determinato ad alunni e studenti, perché neppure per loro vengono stabile procedure e compatibilità (massimo di ore, regime dei distacchi dal video, come normati dal DL 81/08).
Tutto ciò collide paurosamente con gli articoli 32 e 36 della Costituzione, con la normativa contrattuale, con il Dlgs 165/2001, con lo statuto dei lavoratori (art. 4 e art. 9), col codice civile per il mancato rispetto del contratto (che, non lo scordiamo, è di natura privatistica), ed infine con i principi di giusta retribuzione e salute sanciti oltre che dalla Costituzione anche dalla normativa europea. Ciò, con particolare riferimento alla Direttiva 91/533/Cee del Consiglio Ue, del 14 ottobre 1991, relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare i dipendenti delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro.
CILIEGINA SULLA TORTA: non si sono accorti di aver inserito queste norme nell’art. 2: “misure urgenti per l’avvio dell’anno scolastico 2020/2021”, per cui si potrebbe anche pensare bene che, visto che siamo nell’a.s. 2019/20, fino al 31 agosto queste norme non si applicano!
A questa presa in giro estremamente pericolosa, soprattutto per il futuro, bisogna rispondere fermamente. Se le scuole rimangono chiuse, i lavoratori della scuola, docenti ed ATA, faranno la loro parte, ma non devono venire vessati e sfruttati come vuole il governo. Quindi da oggi, 9 aprile 2020, data di entrata in vigore del Decreto, inizia una battaglia a suon atti di rimostranza, diffide e ricorsi al giudice del lavoro per far rispettare i diritti dei docenti.
Visto che il governo non dà chiarimenti sul come debba essere svolta la didattica a distanza lo decideranno i docenti esercitando la libertà d’insegnamento garantita dall’art. 33 della Costituzione.
Dobbiamo pensare anche al futuro. Con la scusa del coronavirus, subdolamente, come “arma di distrazione di massa”, si sta tentando di affermare un principio pericolosissimo per il diritto del lavoro, ovvero che spetterebbe al dipendente subordinato mettere a disposizione le proprie risorse personali per poter svolgere l’attività lavorativa concordata contrattualmente. Se questo diventa un precedente, da domani qualunque datore di lavoro, sia pubblico che privato, potrà scaricare sui dipendenti l’onere di rispondere con le proprie disponibilità alle finalità dell’impresa.
Si inizia con i dipendenti della scuola statale, ma di passo in passo, si rischia di stabilire un principio eversivo che potrebbe essere esteso a tutti gli ambiti.
Questo principio sovverte completamente il diritto del lavoro, rendendo il lavoratore compartecipe del rischio d’impresa, senza, peraltro, che ottenga beneficio alcuno.
Se il datore di lavoro intende far svolgere attività di telelavoro ai propri dipendenti, è necessario che fornisca loro tutti gli strumenti del caso, dispositivi, connessione, quota parte sui consumi, quota parte sullo sfruttamento del luogo utilizzato per svolgere l’attività. Nonché il rispetto, nel caso di utilizzo del videoterminale, di tutta la normativa sulla sicurezza.
Se si cede su questi punti, la frittata è fatta.
L’Esecutivo Nazionale dell’Unicobas Scuola & Università