Nonostante la “congiura del silenzio” attuata dalla stampa mainstream nei giorni precedenti al 6 maggio. Nonostante i palesi tentativi di boicottaggio portati avanti da molti Dirigenti Scolastici, che non hanno comunicato l’indizione di sciopero ai lavoratori della propria scuola e alle famiglie degli alunni, contravvenendo alle più elementari norme vigenti (e di democrazia) sul posto di lavoro. Nonostante le recenti capziose regole sul diritto di sciopero decise dall’amministrazione centrale in collaborazione con i sindacati (confederali e autonomi) pronta-firma. Nonostante le evidenti difficoltà del momento (è ancora in atto una pandemia), possiamo affermare, senza tema di smentite, che la giornata di sciopero del 6 maggio è stata un successo!
Perché lo affermiamo? Perché da due anni a questa parte il mondo della scuola si è mostrato poco propenso a utilizzare lo strumento dello sciopero come forma di lotta. Ricordiamo a tal proposito che lo sciopero indetto da tutti sindacati “maggiormente rappresentativi”, l’8 giugno 2020, si era attestato a meno allo 0,47% di adesioni, così come la giornata di mobilitazione del 26 marzo u.s. (0,46%), indetta da “Priorità alla scuola” e Cobas Scuola (che il 6 maggio hanno proclamato sciopero solo per la Primaria).
Invece lo sciopero del 6 maggio, indetto da Unicobas, Cobas Sardegna, USB, CUB e che ha visto l’adesione dell’organizzazione studentesca OSA, risulta essere un chiaro segnale di inversione di tendenza.
A Cagliari gli scioperanti sono stati il 7,76% dei lavoratori della scuola, a Oristano e Sassari oltre il 6,5%, a Livorno quasi il 6%, così come a Pisa più del 4%, a Lucca quasi il 3% e a Firenze e nelle altre province toscane attorno al 2%. Buoni risultati anche in Emilia Romagna, dove a Bologna ha scioperato quasi il 2,5% tra insegnanti, ATA ed educatori, a Ferrara oltre il 2%, a Ravenna e Rimini abbondantemente oltre l’1%, mentre Milano l’ha sfiorato. Incoraggianti risultati provengono anche da altre province importanti come Torino, Roma, Genova, Gorizia (quasi al 2% di adesioni ciascuna), Venezia oltre il 2% e Trieste abbondantemente oltre il 3,5% di scioperanti. E poi numerose altre città (tra le quali Catania, Ancona, Milano) hanno superato il limite dell’1% di adesioni.
Al momento attuale le rilevazioni svolte risultano pari al 79% degli 8200 istituti presenti sul territorio nazionale e l’adesione generale allo sciopero supera l’1,1%. In particolare, secondo gli stessi dati del Ministero dell’Istruzione (tarati al ribasso), abbiamo chiuso 610 plessi scolastici e scioperato in 2836 sui 30230 rilevati, nonché bloccato 6545 classi, interessandone altre 5156.
Un risultato importante che sta a significare come le organizzazioni sindacali che hanno promosso lo sciopero dell’intera giornata del 6 maggio siano state capaci di ascoltare gli umori dei lavoratori della scuola, dei precari, degli studenti e delle famiglie, riuscendo ad individuare una data in grado di dare una risposta unitaria alle politiche inadeguate in termini di investimenti (inadeguata riduzione dei gruppi-classe, mancato reperimento di nuovi spazi, mancata sanificazione dell’aria, nulla di fatto sui trasporti) di questo e dei precedenti governi, di dare voce e organizzare nelle piazze chi, vivendo tutti i giorni le complessità del “fare scuola”, pretende un reale cambiamento della politica dell’istruzione pubblica italiana che vede ancora il 90% degli istituti non a norma, con una previsione di spesa relativa al Recovery Plan che interessa solo la Dad e la vergona dei quiz Invalsi e non il ritorno in sicurezza.
p. l’Esecutivo Nazionale dell’Unicobas
Stefano Lonzar