17.1.2017 Cari amici e compagni della Lip,
in allegato alla presente troverete gli articoli relativi alla nostra proposta, rivolta all’Assemblea del 22 Gennaio, per l’uscita del comparto Scuola dal campo di vigenza del Dl.vo 29/1993 (Docenti e Ata: anche i collaboratori scolastici e gli aiutanti tecnici hanno responsabilità penali e compiti, ad esempio di vigilanza e/o coadiuzione educativa, che non si riscontrano nel mondo impiegatizio, mentre gli amministrativi firmano bilanci di milioni che ovunque – anche nel sistema privato – darebbero luogo a retribuzioni ben più alte).
Compreso fra gli allegati, il testo di riferimento elaborato nel seminario Lip di Bologna dello scorso anno, quando si discusse la nostra proposta integrativa per la Lip. Su questa proposta, da noi avanzata a varie riprese, la Lip non ha mai deliberato.
Il senso è quello di restituire alla Scuola il ruolo costituzionale di Istituzione, sottrattole con infinite manovre aziendaliste (cd. ‘autonomia’ inclusa). Ma la manovra ha avuto il suo cardine nel Dl.vo 29/1993 del Governo Amato. Questo, molto sinteticamente, include la Scuola (ma non Università, Magistratura, ‘Sicurezza’ e Difesa, etc.) nella privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, così che il nostro contratto è paradossalmente divenuto di natura privata proprio perché inseriti nel pubblico impiego, mentre è rimasto di natura pubblica per altri settori retribuiti dallo stato (in primis l’Università, dove si esercita la nostra stessa funzione).
Questa ‘innovazione’ regressiva impone regole rigide, prima di tutto alla contrattazione:
a) Non si possono ottenere aumenti stipendiali superiori all’inflazione programmata dalle leggi finanziarie dal Ministro dell’Economia (la qual cosa ci ha portato ad avere, nell’ambito UE, retribuzioni più basse – anche alla luce del diverso costo della vita – persino di Grecia – nonostante le riduzioni di spesa operate negli ultimi anni – e Portogallo; dagli spagnoli ci separano circa 1.000 euro netti su base mensile). Questa regola allontana matematicamente, di contratto in contratto, l’Italia dalla media retributiva UE, soprattutto perché il dato ‘inflazione programmata’ è del tutto previsionale (per l’anno a venire) e viene fissato sempre sotto l’inflazione dichiarata dall’Istat (che è sempre molto inferiore all’inflazione reale). In tempi di deflazione, addirittura, si rischia l’automatismo del blocco contrattuale. Impossibile, se non si esce dai vincoli del Dl.vo 29/1993, anche solo tentare di riavvicinarsi alla media retributiva UE. Tutto ciò fa sì che non esista più dal 1993 una vera trattativa contrattuale, determinando il tutto totalmente in via discrezionale il nostro datore di lavoro. Impossibile, in un quadro normativo del genere, persino battersi per un incremento dell’indennità di funzione docente.
b) L’eliminazione del ‘ruolo’, sostituito dall’incarico a tempo indeterminato (prima del Dl.vo 29, tipico del personale precario reincaricato per continuità didattica). Per i precari ‘incarico a tempo determinato’ (posizione molto più debole). Ma il ‘ruolo’ era soprattutto uno ‘scudo’ a garanzia dell’autonomia della funzione docente, che è tuttora (fino alla molto prossima eliminazione del Testo Unico ‘297’) funzione di lavoro non subordinato (a garanzia del rispetto del vincolo costituzionale della libertà di insegnamento).
c) Sono stati eliminati gli scatti d’anzianità: il Dlvo 29/93 li cancella del tutto. Per noi è stato seguito un ‘percorso a tempo’: il ‘congelamento’ non è che l’anticamera dell’eliminazione degli scatti. Erano biennali e sono stati trasformati in 6 ‘gradoni’: il primo di 3 anni, i successivi tre di 6 anni e gli ultimi due di 7. Anche senza alcun rinnovo contrattuale, oggi avremmo una retribuzione molto più alta se avessimo conservato quegli scatti. S’è detto che con quegli aumenti d’anzianità (che invece hanno conservato i docenti universitari, i magistrati ed i militari di carriera) ‘sarebbero andati avanti tutti, anche i cialtroni’. Però persino la Svizzera, paese ‘meritocratico’-liberista per eccellenza, che non prevede automatismi d’anzianità per nessuno, li conserva SOLO per gli insegnanti (e sono annuali), perché in tutto il mondo si sa bene che ad insegnare si impara soprattutto insegnando.
L’attuale, apparente, ‘sopravvivenza’ dei ‘gradoni’ è dal contratto del 1995 (quello che ha recepito i dettami del Dl.vo 29/93) del tutto aleatoria: infatti, dall’epoca non esiste più un ‘capitolato’ di spesa ove destinare fondi contrattuali per gli scatti d’anzianità. Tanto che la retribuzione degli scatti ‘congelati’ avviene a carico degli stanziamenti per il fondo di istituto. In parole povere, siamo sempre noi, Docenti ed Ata, a pagare: mentre aumentano i carichi di lavoro, per retribuire gli ‘scatti’ diminuiscono i fondi per gli straordinari, i progetti, le ore aggiuntive. Le residue retribuzioni d’anzianità passano da una tasca all’altra, ma sono sempre a nostro carico.
Ma la cosa più grave è stata la contestuale trasformazione del preside in ‘datore di lavoro’ interna al Dl.vo 29 (ancor prima che diventasse ‘dirigente’): per questo è stata possibile la chiusura del cerchio avvenuta con la L. 107/2015. Era ovvio che questo singolare ‘datore di lavoro’, prima o poi, sarebbe diventato colui che t’assume, ti ‘valuta’ e ti licenzia. Questa definizione, che troviamo già nel contratto del 1995, annunciava la figura del ‘dirigente’ (ruolo aziendalista inesistente nelle Università – ove i presidi di facoltà sono elettivi – che confligge con la comunità educante e con l’ambito collegiale e democratico di autogoverno della scuola).
Il dirigente, introdotto con la cosiddetta ‘autonomia’ nel 2000 (che ha eliminato anche i Consigli Scolastici Provinciali ed i Consigli di Disciplina eletti), è diventato quindi l’arbitro assoluto di ogni controversia disciplinare, insieme all’Ufficio Scolastico Provinciale.
Se non si pretende l’uscita della Scuola dal campo di vigenza del Dl.vo 29, risulta assolutamente contraddittoria ogni battaglia contro la L. 107 (ed ora contro le famose ‘deleghe’ testé approvate), ancor più a fronte del tentativo annunciato il 14 Gennaio di abrogare del tutto il Testo Unico ‘297’ tramite uno specifico disegno di legge richiamato dal Ministro Fedeli. Non hanno approvato la delega sul Testo Unico semplicemente perché sarebbero stati costretti a muoversi nell’ambito dell’attuale stato giuridico del personale della Scuola, mentre vogliono abbattere definitivamente ogni quarentigia, a cominciare dalla definizione di ‘lavoratore non subordinato’ richiamata (ancora) anche nel contratto. Questo è il vero ‘atto d’indirizzo’ del nuovo Ministro: andare persino oltre la L.107 (il lavoro più ‘sporco’ si lascia sempre ad un governo ‘di scopo’).
Per le ragioni su addotte, dobbiamo batterci per un contratto specifico di natura non privatistica per tutta la Scuola fuori dall’area del pubblico impiego (dove non è prevista certo la ‘libertà di impiegamento’ e dove non esistono le responsabilità penali che gravano su chi a che fare con minori) e per l’istituzione di un Consiglio Superiore della Docenza (con diramazioni provinciali), adibito a garantire, così come per la Magistratura, l’autonomia e la terzietà della Scuola pubblica.
Senza tutto ciò la privatizzazione della scuola e la sua subordinazione alle caste della politica ed agli interessi economici privati e di parte, come s’è ampiamente dimostrato, è sicura.
In questi ultimi vent’anni il Parlamento ha approvato una serie di leggi che hanno inciso profondamente sulla condizione degli insegnanti, considerandoli, però, essenzialmente «indistinti dipendenti pubblici», alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato: la legge 29 marzo 1983, n. 93, nota come legge quadro sul pubblico impiego, a seguito della quale i docenti furono inseriti nel 6° e 7° livello impiegatizio e la funzione docente perse ogni specificità e si recise definitivamente il legame con la docenza universitaria; la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, sul pubblico impiego, che ha dato il via alla privatizzazione del rapporto di lavoro, distinguendo fra ciò che rimaneva riserva di legge e ciò che diventava materia di contrattazione. Il rapporto di lavoro della docenza universitaria non veniva invece privatizzato, come avvenuto per la Scuola con la diretta emanazione di tale norma: il decreto legislativo n. 29 del 1993. La legge 15 marzo 1997, n. 59, con cui è stata istituita l’autonomia scolastica e si è attribuita la dirigenza ai capi d’istituto, separando la loro contrattazione dal restante personale della scuola, nega di fatto la caratteristica di lavoratore non subordinato attribuita ai docenti dalle norme sulla libertà d’insegnamento. Per questo, oltre all’uscita dal Dl.vo 29, si ritiene necessaria la costituzione di un organismo di autogoverno autonomo ed indipendente dall’amministrazione, con la funzione di dare evidenza, identità e tutela alla professione docente: il Consiglio Superiore della Docenza, eletto unicamente dagli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, con consigli a livello regionale, coadiuvati da esperti nominati dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dalle università.
Il Consiglio Superiore della Docenza dovrebbe avere il compito di definire gli standard professionali, di sovrintendere alla formazione iniziale e in servizio, di intervenire sulle norme di accesso all’insegnamento, di statuire e far rispettare il codice deontologico. Gli standard professionali devono descrivere che cosa devono sapere e saper fare gli insegnanti. Essi sono l’elemento fondante dell’identità professionale e costituiscono la base indispensabile per la formazione iniziale e in itinere, per il reclutamento, per la valutazione e l’autovalutazione dei docenti. Vanno individuati standard per la formazione iniziale, per il reclutamento e il superamento del periodo di prova. Il codice deontologico favorisce la costruzione dell’identità professionale, aumenta il senso di appartenenza alla propria comunità professionale e scientifica, costituisce esso stesso un importante riferimento ai fini della valutazione collegiale dei risultati del Pof e dell’autovalutazione, nonché dell’attività educativa, e contempera l’autonomia professionale con i bisogni degli allievi e con i più generali interessi della società.
Per essere efficaci, sia gli standard che il codice deontologico devono essere aperti alle sollecitazioni della concreta pratica professionale, della ricerca, della cultura e della domanda sociale; devono essere flessibili e dinamici, cioè continuamente aggiornabili e aggiornati, favorendo il confronto studenti-docenti sul piano formativo, ma ristabilendo il rispetto dei ruoli: ambito metodologico- didattico di stretta competenza degli insegnanti senza (dannose e inqualificabili) intromissioni; ambito formativo che attiene al rispetto fra i ruoli. La controparte, Treelle, Confindustria, partiti e gruppi privati trans-nazionali liberisti, sindacati consociativi, viceversa, persegue lo smantellamento di quel che resta degli organi collegiali: Collegio Docenti (che si vorrebbe solo consultivo) e Consiglio di Istituto (da trasformare in ‘consiglio di amministrazione’ di scuole-fondazioni con la presidenza del ‘dirigente’ medesimo).
Grazie alla cd. ‘autonomia’ i Consigli Scolastici Provinciali non esistono più dal 2000 e gli insegnanti non hanno eletto più il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione dal 1997 al 2015 (infine con rappresentanza fortemente ridotta e ‘poteri’ del tutto aleatori): se avessero tolto organismi di tale importanza a qualsiasi altra categoria professionale ci sarebbe stata un’insurrezione, mentre noi abbiamo avuto persino un ministro che intendeva ‘valutarci’ a quiz, come poi imposto agli studenti con il dozzinale metodo Invalsi. Perciò riteniamo che serva ridare vita agli organismi elettivi previsti dai Decreti Delegati del 1974, per una rappresentanza composita di tutto il mondo della Scuola (Ata, genitori e studenti inclusi), per rilanciarne una nuova, vera, gestione democratica.
Sappiamo che la Lip è favorevole alla reintroduzione degli Organi di rappresentanza elettivi previsti dai DDPPRR 416 e 417 del 1974. Per questo, nel caso ci venga richiesto, siamo disposti ad accantonare al momento la nostra proposta, relativamente all’istituzione del Consiglio Superiore della Docenza, mentre riterremmo davvero contraddittorio non operare il salto di qualità in termini contrattuali con l’uscita dal campo di vigenza del Dl.vo 29/93, anche per aprire una fase nuova (e di progetto) nel panorama del Movimento della Scuola. Senza la riconquista di uno stato giuridico appropriato non impiegatizio ogni lotta rischia di venire compromessa in partenza. Conosciamo le resistenze. C’è chi scambia il ritorno ad un regime pubblico in termini di rapporto di lavoro con la ‘decontrattualizzazione’: rispondiamo che invece noi ci richiamiamo alla situazione ante-Dl.vo 29/93, che prevedeva la contrattazione nazionale, come testimoniano i numerosi CCNNLL di quegli anni. Semmai riteniamo l’Aran (introdotta con la privatizzazione del rapporto di lavoro) un vero e proprio ignobile carrozzone.
A presto
p. l’Unicobas Scuola
Stefano d’Errico