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Per l’ORDINE PROFESSIONALE DEGLI INSEGNANTI di Gian Paolo Prandstraller

E’ opportuno far partire questa riflessione, sulla professione di insegnante, dal tipo di società in cui viviamo. La società “industriale” è finita da circa trent’anni; ci troviamo oggi bene addentro alla società che l’ha sostituita, cioè la società “postindustriale”. Qual è il carattere di fondo di questo tipo di società? Che la produzione si basa sulla conoscenza scientifico-tecnica prodotta dalle scienze, siano esse fisiche, biologiche, comportamentali, psicologiche o altro. La conoscenza scientifica diventa dunque il fattore assiale della produzione, l’elemento senza il quale nessun contesto economico può reggere il confronto con altri contesti, né partecipare con successo alla competizione economica internazionale.

            Nella società postindustriale i gruppi umani che controllano i processi produttivi sono due. Da una parte gli industriali, che hanno acquistato un’alta coscienza di sé, al punto che parlano apertamente di “egemonia” delle imprese, nel mondo d’oggi; dall’altra i knowledge workers, i “lavoratori della conoscenza”, ossia i professionisti, categoria che incorpora e applica i saperi specifici per risolvere i principali problemi esistenziali e sociali, basandosi sui principi indotti dalle scienze. Il tentativo degli industriali di ignorare il contributo dei knowledge workers, è a mio avviso, destinato a fallire: i knowledge workers detengono infatti quel bagaglio di conoscenze che è ormai indispensabile per poter realizzare prodotti aggiornati, o servizi volti a risolvere problemi difficili, come quelli che di regola sono affidati alle professioni.

                 Considero gli insegnanti una categoria rientrante di pieno diritto nei knowledge workers, professionisti di quello specifico che  è  la base stessa del teaching, sia dal punto di vista della conoscenza effettiva delle materie insegnate, sia delle tecniche didattiche idonee a riversare tali materie sugli allievi. Qualsiasi società di tipo postindustriale ha perciò bisogno di un corpo di insegnanti che siano professionisti, essendo indispensabile per tale società che ogni insegnante possieda completamente la materia che è chiamato ad insegnare. La scuola che tiene nel proprio seno insegnanti privi di questa caratteristica è destinata a rimanere priva del supporto essenziale offerto dalla conoscenza, a meno che non compia un’operazione di acquisto in grande stile di insegnanti validi presso contesti che ne dispongano in eccesso.  Il che può costituire una strategia soltanto temporanea, che, se prolungata troppo a lungo, risulta rovinosa perché impoverisce il tessuto culturale locale, con la conseguenza che si produce un grado  insopportabile d’ignoranza nella popolazione.

     Si pone per gli insegnanti il problema del “gruppo di riferimento”, al quale guardare per una futura  immedesimazione. Per gli insegnanti vi sono attualmente due soli gruppi di riferimento: a) le professioni intellettuali e il loro movimento verso l’unità delle professioni mediante enti di rappresentanza  generale del lavoro intellettuale; b) la burocrazia ministeriale nella forma e nella struttura che la connotano attualmente. Le differenze tra questi due poli sono evidenti. Le professioni infatti sono segnate: 1) da una base cognitiva specifica, un settore dello scibile che ciascuna di essa si ritaglia e in un certo senso controlla, e al quale fa capo nel proprio aggiornamento e perfezionamento; 2) dal principio di autonomia, per cui il gruppo professionale non prende ordini né dalla politica, né dal capitale, né da altra forza o entità, ma si attiene alle regole e nozioni derivanti dalle scienze  che ne costituiscono la base; 3) dall’esistenza di un’etica, normalmente incorporata in un codice etico-deontologico, mirato soprattutto a proteggere il fruitore delle prestazioni professionali, rispetto all’ovvia preminenza del professionista, che conosce la materia meglio di chi non la conosce. – La burocrazia invece è caratterizzata da: 1) applicazione continua del funzionario al proprio ufficio; 2) principio di gerarchia, ossia subordinazione di ogni ruolo ad un ruolo superiore; 3) tessuto rigido di regole (regolamenti) che impediscono al funzionario di dare risposte personali ai problemi che gli vengono sottoposti, e che garantisce la completa uniformità e impersonalità delle risposte.

                 Sembra inevitabile riconoscere che, tra questi due poli, gli insegnanti devono guardare con maggiore interesse al primo, dato che se si integrassero nel secondo perderebbero la propria identità, riducendosi a funzionari di basso rango soggetti ad una disciplina ministeriale insopportabile, densa di circolari e di regolamenti. Neppure se volessero definirsi  come una “burocrazia professionale”  (quella forma di burocrazia che riunisce, nei funzionari, competenze burocratiche e nello stesso tempo professionali derivanti dalle professioni tipiche) gli insegnanti potrebbero, in un quadro di riferimento burocratico, ritenersi soddisfatti perché le burocrazie professionali non hanno il requisito dell’autonomia, che gli insegnanti invece considerano essenziale.

     La scelta del polo professionale come gruppo di riferimento comporta che gli insegnanti tengano presente: a) qual è il percorso strategico che le professioni italiane stanno compiendo a partire dall’ultimo quinquennio del XX secolo; b) perché diventa logico collegare la professione docenziale alla richiesta di ottenere un Ordine, del tutto simile agli Ordini che caratterizzano le professioni riconosciute; secondo una legislazione che in Italia si prolunga da circa un secolo e che è confermata  dal  recente  disegno di legge Fassino,  futura legge-quadro sulle professioni intellettuali, anche se sarà modificato.

            Sul punto a): Il percorso strategico delle professioni nell’ultimo quinquennio del secolo  decorso è stato di aggregarsi in entità strutturate in grado di difendere gli interessi delle professioni, a fronte delle altre grosse aggregazioni, cioè Confindustria e Sindacati dei lavoratori subordinati. Attualmente vi sono tre entità associative che rappresentano l’universo professionale, in Italia. Da un lato il Comitato Unitario Professioni (CUP) che raggruppa circa 25 professioni riconosciute e rappresenta gli Ordini professionali. Dall’altro la Confederazione Sindacale Italiana delle Libere Professioni (CONSILP) che riunisce numerosi sindacati di professionisti e cura i rapporti contrattuali delle professioni oltre a procedure di formazione dei professionisti medesimi. La Consilp  è stata recentemente riconosciuta dal Ministero del Lavoro e dalla Presidenza del Consiglio come “parte sociale” accanto a Confindustria e Sindacati dei lavoratori dipendenti. In terzo luogo vi è l’ Associazione delle Casse di Previdenza e Assistenza delle Professioni (ADEPP), che si occupa del fattore previdenziale, con lo scopo di creare per i professionisti un polo previdenziale privato, e che costituisce un appoggio finanziario importante  per il movimento delle professioni. – Non è difficile capire che queste forze, specie se riusciranno a creare una “Confederazione generale delle professioni”, cercheranno di attuare l’obiettivo della Terza Parte sociale, per por termine al sistema duale di rappresentanza degli interessi (basato soltanto su Confindustria e Sindacati dei lavoratori dipendenti) che caratterizza tuttora la scena sociale italiana.

     Sul punto b): Il mantenimento del criterio ordinistico che è stato ribadito con i disegni di legge Mirone prima e Fassino poi, crea un dato di fatto di cui anche la professione docenziale dovrà tener conto. L’Ordine diventa infatti il paradigma naturale di ogni professione dotata di uno specifico e riconosciuta nella società italiana. Poiché non è possibile contestare agli insegnanti il possesso di uno specifico (dato che gli insegnanti operano sulla base di saperi derivanti dalle scienze) nella presente situazione l’acquisizione di un Ordine si presenta come la meta più logica e naturale per gli insegnanti italiani. E’ insomma la via maestra da seguire, rispetto alla quale altre possibili mete si presentano come devianti  perché inidonee a configurare uno status professionale netto e preciso. Vi è un ostacolo formale al conseguimento di un Ordine: i disegni di legge (e in particolare il d.l. Fassino approvato dal Governo nel novembre 2000) non chiariscono se ulteriori Ordini, rispetto a quelli esistenti, siano ammissibili. Tale ostacolo è superabile in sede legislativa, perché all’atto della discussione della legge – quadro sulle professioni si porrà il problema dei nuovi Ordini per tutte le professioni che siano effettivamente dotate di uno specifico diverso e distinto da quello che connota le professioni già riconosciute. Sta alla categoria degli insegnanti di attivarsi in sede politica perché sia lasciata aperta la porta al riconoscimento di nuovi Ordini. Ciò presuppone ovviamente che si realizzi tra gli insegnanti una robusta corrente d’opinione che opti per l’alternativa “Ordine” tra quelle attualmente in discussione.