Siamo al tempo degli anni di piombo, quelli della legge Reale (fermo di polizia) e (ancora) degli strascichi del Codice (fascista) Rocco. Sandro Galli, insegnante anarchico di Bologna, si oppone al giuramento di fedeltà alle leggi dello stato, preteso dai Savoia, dal fascismo e poi ancora dalla Repubblica a ratifica dell’assunzione nella scuola.
L’impegno contro il giuramento ha inizio nel 1975, quando Galli rigetta per la prima volta l’obbligo. Il risultato è che l’anno successivo perde la cattedra di applicazioni tecniche alla quale aveva diritto e, “decaduto”, torna ad essere disoccupato. Può riprendere l’insegnamento solo nel 1977, inizialmente come precario, quindi viene assunto ‘ope legis’: ma gli si ripresenta la richiesta pressante di giurare e la declina di nuovo.
Il 12 maggio 1980 comincia un memorabile sciopero della fame. Trascorso circa un mese e mezzo di vera astinenza dal cibo, a causa di ripetuti collassi che lo espongono a pericolo di morte, viene ricoverato d’urgenza, ma anche in ospedale non sospende la lotta. Un po’ di the e qualche nutrimento minimale per qualche giorno onde riattivare le difese immunitarie, e dal 10 Luglio riprende uno sciopero della fame estremo, assumendo solo acqua e zuccheri. A metà Agosto ha perso quasi venti chili. Le pesanti conseguenze sul suo corpo continueranno purtroppo a farsi sempre sentire negli anni successivi, ma alla fine Sandro Galli vincerà, facendo abrogare l’obbligo nefasto che faceva degli insegnanti dei parasubordinati del parastato alla faccia della terzietà della scuola e della libertà d’insegnamento.
Fra le altre, Sandro Galli dichiarò: «Innanzitutto il giuramento ti esclude come lavoratore libero e ti rende a tutti gli effetti un coatto; considera poi che così viene sancito il tuo obbligo di eseguire qualsiasi ordine di un superiore (a meno che non sia palesemente in contrasto con altre leggi) come nell’ambito militare; e tutto ciò fa parte di quel retaggio legislativo fascista (Codice Rocco in testa) che è divenuto parte della normativa della Repubblica nata dalla Resistenza».
In tutta Italia si moltiplicarono gli attestati di solidarietà. Numerosi insegnanti – risvegliati da una lotta assurta alle cronache nazionali – spedirono ai rispettivi provveditorati lettere di revoca del giuramento. L’allora sindaco di Bologna, il comunista Renato Zangheri, persona egregia, andò a trovare Galli in ospedale e mise a disposizione dei compagni, dei sostenitori e degli amici di Galli un pullman del Comune perché potessero scendere a Roma a manifestare. Qui vennero ricevuti dal Presidente della Repubblica, il grande Sandro Pertini, che telefonò a Galli in ospedale. Zangheri si espose con un articolo – pubblicato da “La Repubblica” – col quale esprimeva a Galli sostegno e solidarietà, facendosi persino promotore di una legge regionale per l’abrogazione del giuramento per gli statali di Bologna e dell’Emilia-Romagna. Pertini prese pubblicamente posizione e il 29 Giugno 1980 dichiarò testualmente a “il Resto del Carlino”: «nessun insegnante … in questo paese potrà più essere perseguitato perché si rifiuta di prestare giuramento di fedeltà alle leggi dello stato … io garantisco personalmente l’immediata validità di questa decisione», auspicando «l’emanazione di un provvedimento che cancelli questa norma per via amministrativa» in modo da pervenire ad una decisione «subito operativa» ([1]). Ma Galli ottenne di più: la legge n.° 116, del 30 Marzo 1981 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.° 95 del 6 aprile 1981), abrogò il giuramento ([2]).
Sandro non fece un passo indietro neppure all’indomani del 2 Agosto, dopo la strage alla stazione di Bologna. Chiamò la stampa e, richiamando il rifiuto di aderire ad un giuramento nato da una legge del triste ventennio, dichiarò: «…proprio questa strage, di chiara matrice, richiede l’intensificazione del nostro impegno antifascista».
Sandro Galli ha ricevuto di persona dall’Unicobas, appena dopo la fondazione del sindacato (avvenuta il 24.5.1990), la tessera n.° 0, honoris causa e ci ha lasciati il 14 ottobre 2018. La sua perdita mi ha molto rattristato. Per questo preferisco evitare di parlare direttamente di Sandro.
Dirò solo che la sua lotta ha per me un grande valore. Non ero ancora un insegnante, ma sostenni la battaglia in tutti i modi con altri che poi ho reincontrato anche nell’Unicobas. Galli ci fece capire che vincere era possibile. Ma il suo impegno non va certo dimenticato solo per questo, bensì perché nel Paese si trova sempre qualche ‘solone’ spesso capace di ribaltare la realtà. Lo ‘sport’ nazionale non è dar lustro a ciò che vale davvero. Piace troppo ai pavidi, ai ‘senza qualità’, sciorinare emerite sciocchezze e, come se ce ne fosse bisogno, inventarne sempre di nuove.
In merito al giuramento, non citerò quindi a sproposito Marco Rossi Doria. Costui, già maestro di strada, non contento di aver ‘saltato il fosso’ dalla ‘barricadera’ “Lotta Continua” a membro della Commissione di studio per un Codice deontologico degli insegnanti (quello poi scritto dal Cardinal Tonini) su nomina del Ministro Letizia Moratti (2001-2002) del secondo governo Berlusconi, non trovò di meglio da proporre (sic!) che il ripristino del giuramento. Nulla rileva per lui il dettato della legge abrogativa del giuramento, neppure laddove se ne spiega molto bene la ratio, con la sottolineatura (testuale) che tale passaggio è stato necessario per: «garantire che i comportamenti professionali dei docenti siano conformi a una corretta interpretazione delle norme che regolano l’esercizio della libertà di insegnamento, nel rispetto della Costituzione e degli ordinamenti della scuola stabiliti dalle leggi dello Stato nonché nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni». Rossi Doria ha una visione ‘costituzionale’ intermittente. Sarà per questo che la sua fortuna politica di ‘eroe del giorno’ sotto tutte le bandiere della ‘seconda repubblica’, è poi proseguita brillantemente: il 29 Novembre 2011 è stato nominato Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel Governo Monti e poi riconfermato il 2 maggio 2013 sottosegretario di Stato al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca anche nel successivo Governo Letta. In sostanza, visto che l’impegno ‘paga’, questi soggetti trovano costanti imitatori, ed ogni tanto il generale schiocchezzaio italico s’arricchisce di nuovi genialate. Non sarò quindi io, che genio non sono, a parlare ancora del senso della battaglia di Galli.
Farò invece ricordare Sandro da una donna attivissima e intelligente, che ha ben altra storia rispetto ai ‘Doria’ di turno, riportandone un articolo appassionato che resta a monito per vecchi e nuovi adepti del ricco club del nonsense e della mediocrità. Ecco cosa scrive a proposito di un’altra delle ricorrenti boutades sul ‘piacere’ dei giuramenti imposti, Giancarla Codrignani ([3]), lei che, purtroppo, quel giuramento era stato obbligata a prestarlo, la prima volta da bambina. Questo è il titolo del suo intervento (del 21.3.2011) in occasione di un dibattito nato su “il manifesto”: “A 18 anni giurare fedeltà allo Stato? Non dovrebbero anche gli sposi. Ognuno vive ascoltando la propria coscienza”. Ed eccone il testo: «A proposito del 17 marzo il Manifesto ha pubblicato un interessante articolo del prof. Alberto Mario Banti che propone di celebrare il 2 giugno con un “rito di passaggio” in cui “le ragazze e i ragazzi che nel corso dell’anno precedente hanno raggiunto la maggiore età giurassero lealtà alla Costituzione… atto necessario per il pieno esercizio dei diritti politici”.
La proposta è apparsa suggestiva, ma non vorrei che la confusione grande da cui siamo tutti travolti in questi anni di transizione porti ad entusiasmi eccessivi. Parto dall’andare in giro con la coccarda sulla giacca di una come me che, credendo nella cittadinanza mondiale degli umani, ha sempre contestato il concetto di una patria (e anche di “matria”) in senso retorico e nazionale. Quando, però, qualcuno vuole spaccare il tessuto civile di un popolo (parola storica, caduta in disuso rispetto al più opaco “gente”), allora si ripensa alla fatica di chi 150 fa – e anche un bel po’ prima e un altro bel po’ dopo – è morto per arrivare a tenere in piedi una realtà democratica nella “nostra” Italia. Detto questo, far “giurare” i giovani NO.
Personalmente ho giurato alle elementari di “difendere con tutte le mie forze fino allo spargimento del mio sangue la causa della rivoluzione fascista”, giuramento evidentemente invalido e indecente perché prestato da una bambina; drammatico perché era preteso (ed era condizione di non licenziamento dal lavoro) da un popolo di presunti cittadini. Ma ho giurato anche entrando in ruolo nell’insegnamento, cosa che mi infastidì perché gli impiegati dello stato giuravano nelle mani di superiori che solo attraverso preside (nel mio caso persona intelligente che disse “vediamo di fare anche questa senza ridere”), ministero, governo, arrivavano al simbolo di principio dello “stato”.
Alessandro Galli, un anarchico bolognese, si ridusse allo stremo con un digiuno a oltranza per cancellare il giuramento dei pubblici dipendenti e, ricevendo rispetto anche da parte di autorità pubbliche come il sindaco della città Zangheri, fu l’unico che, a mia conoscenza, come privato cittadino riuscì “da solo” a indurre il Parlamento a revocare una norma ingiusta.
Infatti l’atto di giurare non va sottovalutato: come diceva il filosofo Piero Martinetti, anche quello di fedeltà imposto dalla cerimonia del matrimonio è un abuso: infatti “l’uomo si impegna a regolare la propria condotta secondo la volontà altrui, cioè a non tenere conto dei comandamenti della propria coscienza”. Di giuramenti parla la storia, ma un conto è dire il giuramento di Ippocrate, codice etico per una corporazione sacrale; un altro il giuramento di Pontida, impegno collettivo di resistenza comunale al Barbarossa, un altro quello tra Carlo il calvo e Ludovico il Germanico, messo per iscritto come contratto. Altro caso ancora è il giuramento davanti ai giudici, garanzia formale di reciproco riconoscimento.
Per i cattolici, meglio per i cristiani, non ci sono dubbi. Gesù (Matteo, 5, 37): “Fu detto dagli antichi ‘non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti’. Ma io vi dico: non giurate mai, né per il cielo che è trono di Dio, né per la terra che è sgabello ai suoi piedi, né per Gerusalemme che è la città del Gran Re. Non giurare nemmeno per la tua testa, perché non hai potere di rendere bianco o nero neppure un capello. Sia invece il vostro parlare ‘sì, sì; no, no’. Il di più viene dal maligno”. Un precetto difficile, se è vero che Pio X impose il giuramento “antimodernista”, che distrusse la vita a un leale Ernesto Buonaiuti mentre molti dissenzienti subirono e tacquero. Lo revocò Paolo VI nel 1966, quando già l’Università Cattolica lo aveva sostituito con la lettura del Credo.
La Costituzione non è il Vangelo. Certo, ma anche quello nei suoi confronti è un impegno della coscienza, che deve essere laicamente educata a sentirsi libera. Se non si ha “conoscenza” interiorizzata, poco valgono i riti: si entrerebbe in un regime. Anche perché i fondamenti delle Costituzioni assumono valore giuridicamente concreto se tradotti in leggi. Quando il servizio militare era obbligatorio, si invocò l’obiezione di coscienza nei confronti di un principio costituzionale (nulla, dunque, a che vedere con l’obiezione di medici e farmacisti) , quello della difesa della patria. Oggi l’art.10 fa a pugni con il rispetto dei rifugiati perché manca una legge sull’asilo.
Caro amico Banti, affascinato dall’idea che “il garrire delle bandiere e il risuonare di inni non evocherebbe più vacue e inquietanti immagini di lontani eventi bellici, ma una realtà attuale e cara”, non sono dello stesso parere. La “tavola dei valori su cui concordiamo e che disciplina la nostra vita in comune” costa la costante fatica di apprendimento e di impegno. Sessant’anni non sono bastati. E neppure centocinquanta. Giancarla Codrignani, docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature».
Stefano d’Errico
[1] Atti Parlamentari – 17963 — Camera dei Deputati VIII Legislatura – Discussioni – Seduta del 12 Settembre 1980.
[2] L’abolizione del giuramento era stata richiesta da radicali e comunisti (Atti Parlamentari, VIII Legislatura, Disegni di legge e relazioni, Camera del Deputati, doc. n. 1985, proposta di legge d’Iniziativa del deputato Massimo Teodori e altri: interpretazione autentica dell’art. 93 del Testo Unico sulla scuola approvato con D.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, concernente abrogazione dell’obbligo del giuramento per gli insegnanti, presentata il 3 settembre 1980, e doc. n.° 1944; proposta di legge d’Iniziativa del deputato Achille Occhetto e altri: interpretazione autentica dell’articolo 93 del D.P.R. 11 Maggio 1974, n.° 417, concernente norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato, presentata il 31 luglio 1980). Il provvedimento è stato approvato in sede legislativa dalla VIII Commissione Permanente (Istruzione) della Camera del Deputati, il 6 novembre 1980, con la sola astensione dell’On. Gui (DC), che richiedeva di sostituire l’obbligo del giuramento con un’altra forma di impegno formale da parte del docente all’osservanza dei propri doveri. Cfr. Camera dei Deputati, VIII Legislatura, cc. “Bollettino delle giunte e commissioni parlamentari”, giovedì 6 novembre 1980, p. 34. La legge che abolisce Il giuramento è stata definitivamente approvata in sede legislativa dalla Commissione Istruzione del Senato il 20 marzo 1981. La Commissione ha accolto un ordine del giorno del sen. Buzzi che «impegna il governo a predisporre con tempestività la normativa più idonea a garantire che i comportamenti professionali dei docenti siano conformi a una corretta interpretazione delle norme che regolano l’esercizio della libertà di insegnamento, nel rispetto della Costituzione e degli ordinamenti della scuola stabiliti dalle leggi dello Stato nonché nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni» (cfr. cc. “La Repubbllca”, 21 marzo 1981, p. 10). II testo adottato è il seguente: cc. «Articolo unico – Il disposto dell’art. 11 del Testo Unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n.° 3, e successive modificazioni ed integrazioni, non è da intendersi applicabile, ai sensi dell’art. 93 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n.° 417, al personale ispettivo, direttivo, docente ed educativo (L. 30 marzo 1981, n.° 116, in cc G.U. 6 aprile 1981, n.° 95)».
[3] (Da Wikipedia): Giancarla Codrignani (Bologna, 18 Luglio 1930) è una scrittrice, giornalista, politica e intellettuale italiana, impegnata nel movimento per la pace e – laicamente – di area cattolica, più volte parlamentare della Repubblica. Subito dopo la laurea in lettere antiche comincia la sua carriera come docente di lettere greche e latine nei licei classici, collabora con l’Istituto di filologia dell’Università di Bologna, per il quale cura l’edizione critica del Codice Catulliano 2744. Presidente della LOC (Lega degli Obiettori di Coscienza), ha svolto il suo impegno come parlamentare nella Sinistra Indipendente, per tre legislature dal 1976 al 1987, occupandosi delle tematiche riguardanti l’obiezione di coscienza al servizio militare e il servizio civile sostitutivo, il disarmo e la difesa popolare non violenta. Testimone delle prime elezioni libere in Nicaragua e inviata in missione parlamentare in Cile durante l’assedio, la sua opera è stata riconosciuta dall’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite. Attiva in varie esperienze di solidarietà e per la pace, è tra le figure più rappresentative della cultura italiana della nonviolenza. Ha partecipato al movimento femminista e ha continuato ad essere coinvolta nelle problematiche di genere nell’amministrazione di Bologna e nell’Associazione Orlando. È direttrice della testata giornalistica di “Server Donne”, scrive su “Noi Donne” e pubblica saggi e interventi politici su giornali e riviste anche on-line.