Sono trascorsi sei mesi dalla chiusura delle scuole a causa del lockdown, mancano due settimane all’avvio del nuovo anno scolastico e nulla appare definito tranne la volontà di riportare gli alunni nelle aule anche a dispetto dei segnali, poco rassicuranti, di un costante e significativo aumento dei contagi in tutta l’Italia. Una determinazione (a volte sembra sconfinare nella protervia) che è apertamente in contrasto con l’impalpabile azione di governo, ma si spiega con il fatto che il 20 e 21 settembre si vota e un ripensamento costerebbe troppo all’esecutivo e ai partiti che lo sostengono!
Sei mesi trascorsi inutilmente tra dichiarazioni roboanti, le più disparate promesse, indicazioni provenienti dal MIUR, con cadenza quasi giornaliera, che appena pubblicate venivano contraddette. Chiunque si è sentito in dovere di parlare di scuola: giornalisti, politici, economisti, uomini di spettacolo e sport (gli ultimi in ordine di tempo ad entrare in questo folto ed eterogeneo gruppo, invitando i docenti ad effettuare i test sierologici) tranne i diretti interessati, docenti e studenti. Per quanto riguarda poi le dichiarazioni dei dirigenti scolastici (gli unici autorizzati a esprimere opinioni sulla fase, secondo la comunicazione mainstream) è meglio stendere un velo pietoso!
Banchi monoposto, a rotelle, mascherine si/mascherine no, rime buccali, hotel, bed and breakfast e appartamenti per ospitare gli alunni, utilizzo di insegnanti in pensione che rientrano come volontari, cioè gratis, perché le scuole hanno bisogno di più organico: la fervida immaginazione dell’attuale ministro, dei suoi consiglieri e del comitato tecnico scientifico in questo periodo ha offerto grande prova di sé… ma 0rmai è evidente a tutti – lo sarà ancor più il 14 settembre – che la scuola non riaprirà come si sarebbe dovuto e che alla melensa retorica nazional popolare del “andrà tutto bene!”, si deve sostituire il ben più prosaico “Tutto sarà come prima, anzi peggio”:
• A fronte di 7 miliardi di euro che andrebbero investiti per le assunzioni, 7 per il contratto ultra-scaduto, più i 13 necessari ad un piano pluriennale serio per porre in sicurezza l’edilizia scolastica, il governo ne ha stanziati meno di tre, né tantomeno viene presa in considerazione la possibilità di utilizzare parte dei 209 miliardi del Recovery Fund (82 dei quali a fondo perduto) per affrontare le croniche e strutturali necessità della scuola pubblica italiana.
• Invece di assumere 240mila docenti ed almeno 40mila ata in più, da utilizzarsi poi per alzare l’obbbligo (e non qualche decina di migliaia “usa e getta”, insufficienti persino per coprire i posti dei lavoratori fragili), l’unica vera difesa contro il covid-19 e per eliminare le classi pollaio, il ministero spende i fondi per comprare banchi e favorire gli imprenditori del settore, forte anche dell’accordo, per il rientro, sottoscritto con i sindacati pronta-firma Cgil, Cisl, Uil e Snals. Da tutte le province ci giunge notizia che l’organico è stato aumentato in modo insufficiente, non sarà assegnato per l’avvio dell’anno scolastico e i precari saranno sottoposti alle clausole vessatorie del licenziamento in caso di rinnovato lockdown.
• La carenza di personale aggiuntivo determinerà smembramenti e riaccorpamenti delle classi, con la conseguente dispersione di socialità, relazioni, affettività, mentre la riduzione dell’ora di lezione per attuare ingressi diversificati con turnazioni, potrebbe offrire l’occasione ai dirigenti per imporre a costo zero ai docenti recuperi orari con cui poter gestire una serie di attività, dalle supplenze ai corsi di recupero. In situazioni del genere sarà bene precisare che i tempi da recuperare devono andare a restituire la quota oraria della materia penalizzata dalla riduzione e non possono essere utilizzati come generica “banca del tempo”.
• Nonostante come sistema abbia mostrato profonde lacune, nonostante le forti perplessità manifestate dagli insegnanti costretti ad utilizzarla da marzo a giugno e nonostante si sia rivelata in buona misura potente riproduttore di disuguaglianza tra gli studenti, oltre che di arricchimento economico ed utilizzo incontrollato di dati sensibili di minori e di docenti da parte delle major informatiche, il governo ha insistito a percorrere la strada della didattica digitale arrivando ad emanare le linee guida con un apposito DM.
Ne ha modificato l’acronimo in DID (didattica integrata a distanza), l’ha pensata in forme blended, ibride, alternabili e complementari alla didattica in presenza, ne ha proposto una vergognosa ed antipedagogica regolamentazione oraria, con 10 ore di videolezioni dalla prima elementare, che salgono a 15 dalla seconda alla fine delle Medie ed a 20 nella Superiore di Secondo grado e ne caldeggia l’inserimento nei Ptof (triennali), equiparandola, in modo inaccettabile, ad un qualsiasi strumento ordinario e duraturo della didattica.
• L’età media dei lavoratori della scuola è compresa tra i 50 e i 60 anni e molti hanno patologie (certificate) che, però, non rientrano tra quelle richieste per essere dichiarati “lavoratori fragili”, ma chiaramente ne riducono le capacità di difesa in caso di contagio. Un numero consistente di questi lavoratori assiste, poi, genitori anziani, con invalidità fino al 100%, e – dunque – con rischio altissimo di contrarre il covid-19. Ciò nonostante, oltre all’invito a sottoporsi volontariamente al test sierologico, ad oggi 31 agosto, ai docenti e al personale ATA non è data alcuna certezza sulle norme di sicurezza che tutelino loro e le loro famiglie.
La richiesta di reintrodurre i presidi sanitari nelle scuole non è stata minimamente presa in considerazione per motivi economici; risulta ancora aperto il dibattito su a chi spetti il compito di misurare la temperatura corporea agli alunni ogni mattina: secondo il CTS alle famiglie, nel frattempo però sempre più Comuni (anche a Roma stessa), in contrasto con le direttive nazionali, stanno decidendo di assegnare il compito agli istituti scolastici; l’unica misura adottata dal Governo per garantire la sicurezza a chi entra in un edificio scolastico è il fatidico metro statico fra le “rime buccali”, mentre in Belgio è previsto un numero massimo di 10 alunni con 4 metri quadrati a testa, in Germania e Regno Unito gruppi di 15 e separazione di 2 metri (cosa prevista anche in Spagna).
• Una delle condizioni minime per il rientro in sicurezza risiede nella possibilità di avere a disposizione degli spazi adeguati, sanificati, che consentano il corretto distanziamento sociale. Il governo, in questi mesi, invece di avviare una politica unitaria di investimenti per l’edilizia, la manutenzione e la messa in sicurezza delle scuole, ha preferito lasciare autonomia di azione ai singoli istituti – che hanno dovuto arrangiarsi con le scarse risorse a disposizione e con la solidarietà che sono riuscite a rimediare sul territorio – determinando una risposta che sarà, per forza di cose, molto eterogenea e produrrà un’ulteriore differenziazione tra scuole.
• Tra le ultime questioni in ordine di tempo figura quella relativa al trasporto scolastico: anche in questo caso, pur avendo a disposizione molto tempo per progettare e realizzare valide soluzioni al problema, l’esecutivo non si è dimostrato all’altezza del compito e così si pensa di risolvere la questione derogando, una volta di più, alle norme sulla sicurezza, mettendo a repentaglio la salute di chi usufruisce del servizio e degli operatori.
La scuola e il mondo dell’istruzione non possono tollerare tutto questo. Non possono tollerare che un governo con la complicità di sindacati che fingono di opporsi per essere poi sempre pronti a firmare ogni cosa, faccia finta di aver risolto i problemi che sono, invece, ancora tutti sul campo.
Visto che non ci è concesso il diritto di parola sui principali mezzi di comunicazione, facciamo risuonare nelle piazze la voce di chi opera nella scuola pubblica, ribadendo le nostre richieste per avere una scuola in sicurezza:
• classi meno numerose, massimo 15 alunni
• incremento organico stabile di personale docente e non docente
• ambienti sicuri e idonei allo svolgimento di tutte le attività
• mantenimento dell’orario di lezione senza riduzioni
Non facciamoci sfuggire l’occasione di manifestare la nostra volontà di cambiamento; partecipiamo agli scioperi ed alle manifestazioni unitarie del sindacalismo di base del 24 e 25 settembre!
Stefano Lonzar
(membro dell’Esecutivo Nazionale
Unicobas Scuola)